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La guerra alla Rai non ha senso

Michele Santoro

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Cannoneggiare la Rai è lo sport nazionale di gran lunga più praticato. Nelle bocciofile come in Parlamento, sui marciapiedi e nei salotti. Lo scopo è sempre lo stesso: squalificarla agli occhi del pubblico che, paradossalmente, per quanto ne sia insoddisfatto, continua a preferirla a tutti gli altri network. Ciò non vuol dire che l'azienda radiotelevisiva di Stato non sia criticabile sotto il profilo della qualità di alcuni suoi programmi. E ognuno, naturalmente, ha il diritto di esprimere la propria opinione in merito all'offerta. È perfino auspicabile, legittimamente secondo qualcuno, il calo degli ascolti usando il telecomando. Ma da qui a scatenare una vera e propria guerra contro la Rai, ce ne corre. Sarebbe opportuno e produttivo, anche da parte degli antipatizzanti più feroci, applicarsi ad una opposizione selettiva, invece di coinvolgere in un conflitto totale chiunque per fare "giustizia" degli insopportabili eccessi giustizialisti e volgari che vanno in onda sul piccolo schermo. In altri termini, se dall'individuazione di criticità produttive e gestionali vengono fuori, come è facile constatare guardando certi programmi, lesioni al servizio pubblico, al contratto di servizio, alla qualità dell'informazione e al pluralismo della stessa che dovrebbe essere sempre e comunque salvaguardato, è necessario intervenire con gli strumenti che si hanno a disposizione, e non sono pochi.   Santoro, insomma, se fa strame del codice deontologico da lui come da tutti gli altri dipendenti della Rai liberamente sottoscritto, si assumano le determinazioni dal documento previste. Se, inoltre, vengono ravvisati nei suoi comportamenti professionali violazioni previste dai codici civile e penale, si agisca di conseguenza senza dimenticare che il padre-padrone di Annozero è lì, in video, perchè un giudice l'ha disposto. Il CdA del tempo non potè che prenderne atto dopo aver perso tutti i ricorsi.   Il palinsesto, ci si è chiesti, deve farlo la magistratura? Neppure per sogno. Ma, allora, si provveda in sede politica invece di stracciarsi le vesti perché episodi del genere, insieme con molte altre anomalie, non si verifichino più. Diversamente teniamoci Santoro fino a a quando lo stesso non si sarà stufato di ossessionarci con la sua ingombrante presenza avallata dalla partecipazione ai suoi show di personaggi che il giorno dopo leveranno alti lai contro la faziosità del giornalista. C'è libertà di telecomando: utilizziamola piuttosto che mettere in campo discutibili iniziative destinate ad un sicuro flop. La Rai, patrimonio degli italiani che l'hanno costruita e sostenuta, può essere certamente migliorata, ma a condizione che non sia più il terreno di scontro tra le forze politiche dalle quali, come cittadino e come (già) consigliere d'amministrazione dell'azienda, non ho mai sentito formulare una proposta praticabile in merito alla qualità, alla pluralità dell'offerta (che non dovrebbe avere coloriture partitiche, ma esprimere orientamenti culturali), allo sviluppo industriale, alla modernizzazione del linguaggio e della programmazione. Soprattutto non ho mai sentito nessuno preoccuparsi di recuperare alla Rai una capacità produttiva che da tempo non ha, pur disponendo di personale capacisimo ad inventare format. Di fronte al disagio di un management aziendale di primissimo ordine, la politica è soltanto capace di disegnare ridicoli organigrammi che il più delle volte prescindono da valutazioni oggettive o, quanto meno, sostenibili. Questo è il problema; questa è la falla che da tempo immemorabile si è aperta in Rai. Il cavallo morente di viale Mazzini attende ricostituenti che nessuno sembra disposto a somministrargli. La cura è quella di avere buone idee per la Rai e fargliele tradurre in programmi.   Le risse non servono a niente, se non per fare qualche titolo sui giornali. Ci si applichi piuttosto a reinventare una televisione qualitativamente inattaccabile. E che perda pure qualche investitore pubblicitario rinunciando ad inseguite la tv commerciale. Una grande democrazia può permettersi spese supplementari al fine di avere un servizio informativo e culturale all'altezza delle sue ambizioni. O no? Gennaro Malgieri

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