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Fini, adesso dicci con chi stai

Fini

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E Silvio Berlusconi contro Gianfranco Fini. Ancora loro, i due principali azionisti e protagonisti del centrodestra. Stavolta il copione propone Fini contro Berlusconi. Anche se si potrebbe dire che il Cavaliere, con i suoi «va tutto bene», dà alle volte la sensazione di minimizzare più che smussare. Accade così che il premier, parlando a Milano a una fiera, dice che con Fini è «tutto a posto». Fini non ci sta e a stretto giro replica: «Tutto bene? Non è tutto a posto, anzi...». «I problemi politici ci sono - avrebbe aggiunto Fini - ed è paradossale che Berlusconi li neghi». E minacciosamente si fa filtrare la notizia che il co-fondatore del Pdl si farà sentire alla convention di Gubbio, dove egli parlerà domani. Ma di quali problemi parla Fini? Se volessimo seguire il ragionamento per paradosso del presidente della Camera, essendo egli alla guida dell'assemblea si dovrebbe ritenere che si riferisca a problemi di Montecitorio. E invece no, tutti hanno capito che Fini sta parlando di problemi interni al Pdl. E qui forse c'è il punto più debole dell'agire finiano. Lui è presidente della Camera. E nessuno lo ha costretto, è stata una sua libera scelta. Perché Fini l'ha fatta? Perché sapeva che stavolta doveva stare fermo un giro, la legislatura sarebbe durata cinque anni, Berlusconi ne sarebbe stato il dominator assoluto, il governo sarebbe nato a sua immagine e somiglianza e a lui non andava di fare di nuovo il numero due, il delfino, l'eterno candidato alla successione. Comprensibile. Comprensibilissimo. Così Fini s'è scelto un suo profilo, una sua cifra. Guardando all'Italia del dopo 2013. All'Italia del 2015, all'Italia del domani, all'Italia del futuro. Al punto che, come ricorda Francesco Damato nella pagina dei commenti, ha lasciato immaginare una sua corsa verso il Quirinale. Peraltro scattata in largo anticipo. Ora però Fini ha scelto un'altra strada, ovvero quello di fare il leader della minoranza interna del partito da lui stesso fondato. E s'è messo a sparare a sparare a zero contro la linea a suo giudizio troppo filoleghista del governo. Poi sulla linea troppo vaticanista del Pdl, per esempio sul biotestamento. S'è professato strenuo difensore delle istituzioni e del ruolo del Parlamento. Ha tutto il diritto di parlare e di intervenire nel dibattito. Poi però dall'alto dello scranno più importante della Camera s'è messo a bombardare la guida del governo e del Pdl. Insomma, di Silvio Berlusconi. Che in fin dei conti non è un bel modo di usare (e forse abusare) del ruolo che si ricopre. E forse è anche piuttosto in contraddizione con quello che si vuol fare. Ecco, che cosa si vuol fare? Che cosa vuol fare Fini? Non è molto chiaro. Appare indeciso, a mezz'aria sospeso, in cerca di un perché. Non è la prima volta che accade. Per esempio nel luglio del 2004, dopo aver reclamato più collegialità nelle scelte economiche, dopo aver chiesto e ottenuto la testa di Tremonti, rifiuta di assumere la titolarità del ministero dell'Economia. Stavolta lui ha scelto il percorso istituzionale: e allora lo compia, lasci stare le diatribe interne al Pdl. Oppure, come gli consiglia Cossiga, si dimetta e faccia la battaglia a viso aperto. Anche perché un gruppo di finiani, anche se non ufficiale, esiste già alla Camera. E piano piano si sta formando anche al Senato in modo da indebolire Gasparri che finora ha dettato incontrastato la linea del Pdl a Palazzo Madama. Così facendo, l'ex leader di An non è più arbitro ma giocatore. C'è un punto che sollevano i finiani e che non va sottovalutato. Cioé che al momento chiunque azzardi ad avere una visione differente da quella del capo, che ostinatamente persone vicine al presidente della Camera chiamano il «sultano», viene tacitato, additato, oppresso, soppresso. Tanto che lo stesso Fini è arrivato a lamentarsi a Mirabello: «Il Pdl non è una caserma». La questione casomai è se sia corretto che il numero uno di un'assemblea decida di partire all'assalto, o almeno di criticare, una forza politica. Si badi bene, di solito accade il contrario. Ovvero che un presidente di un'assemblea viene criticato da un partito. Siamo insomma in una situazione anormale, di commistione di ruoli, di totale conflitto di interessi. Una condizione i cui i rischi non sfuggono neppure al Quirinale dove la situazione viene seguita con una certa preoccupazione anche perché l'attuale presidente della Repubblica è stato anche alla guida della Camera.

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