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La premessa del "caso Berlusconi" consiste nella spiegazione del perché di tanto accanimento mediatico-giudiziario contro di lui.

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Il27 agosto scorso, ho presentato a Levico Terme il mio ultimo saggio La famiglia Gramsci in Russia. Ad un certo punto, una signora, che aveva lodato il libro, appena scoperto ch'ero deputato del Pdl, stizzita, s'è alzata e se n'è andata. Quale il motivo della scenataccia? La risposta illustra la semina di 15 anni di veleni: Lehner è bravo, ma è uno di quanti consentono a quello di governare… io quello lo odio. Se la sono presa a morte col Trockij di Arcore, giacché spuntò d'improvviso nell'arena politica, quando l'Italia stava per essere ineluttabilmente consegnata alla "gioiosa macchina da guerra", per la sovietizzazione interna e il profitto dei grandi speculatori della City e di Wall Street. Berlusconi sparigliò, inventandosi, con Forza Italia, l'approdo per gli elettori, fin lì smarriti, dei partiti di governo della prima repubblica. Colpa gravissima, la sua, da lavare col sangue giudiziario e col fango mediatico. Urge, oggi, meglio tardi che mai, una commissione parlamentare d'inchiesta per appurare se siano riscontrabili nella pletora degli attentati al Cavaliere gli estremi dell'articolo 289 del codice penale. Penso, ad esempio, al "pronunciamento" dei pm del pool in diretta tv contro il decreto Biondi nel luglio 1994. Viene alla mente Borrelli che, ancor prima dell'incarico di governo a Berlusconi, il 1° maggio 1994, se ne uscì con le seguenti ipotesi anticostituzionali: «Io non mi vedo alla testa di truppe... Dovrebbe accadere un cataclisma per cui resta solo in piedi il presidente della Repubblica che, come supremo tutore, chiama a raccolta gli uomini della legge. E soltanto in quel caso noi potremmo rispondere. Non basterebbe certo... una folla oceanica raccolta sotto i nostri balconi. Ma a un appello di questo genere, del capo dello Stato, si potrebbe rispondere con un "servizio di complemento", questo sì». Lo stesso, nell'ottobre 1994, s'inventò il pre-avviso di garanzia («…Si rischia di arrivare a livelli finanziari e politici molto elevati»), annunciando, così, lo schiaffo di Napoli, 21-22 novembre 1994, ottimo per riconsegnare la Nazione ai comunisti. Si potrebbe ragionare anche sulle corresponsabilità dell'Ordine dei giornalisti. Il premio «Cronista 1995» fu assegnato a Buccini e di Di Feo, per lo scoop del 22 novembre 1994, quando il Corsera pubblicò l'invito a s-comparire a Silvio Berlusconi, mentre questi, a Napoli, presiedeva il noto convegno sulla criminalità organizzata. Dov'era il merito dei due cronisti, visto che la fotocopia delle prime due pagine del provvedimento era giunta in tempo reale dalla Procura di Milano in via Solferino? Lì c'era, semmai, un reato grande come una casa e mai persguito. Perché? Che tempi! Furono rinvenuti sotto il pavimento - abitudine delle nostre nonne - miliardi di fondi neri Fiat, eppure Gianni Agnelli non fu mai invitato, neppure a prendere un caffè, da nessun pm. Forse, perché i suoi quotidiani appoggiavano il partito dei giudici? Silvio, di contro, è stato accusato di tutto, anche di mafia, e a tale scopo sparlarono ominicchi e quaquaraquà di Sicilia. A livello giudiziario non poteva esserci un seguito, ma sul piano mediatico altri ominicchi continuano a calunniare. Nel 1996, quando Berlusconi si avviava a vincere le elezioni politiche del 21 aprile, entrò in gioco, con nuove accuse, una signora piena di buffi, gran giocatrice d'azzardo, nonché informatrice di polizia - proprio in un processo contro di me, a Cles, venne fuori la verità su "Olbia", nomignolo di battaglia della Stefania Ariosto. Non era una gran teste - Davigo stesso la definì "inconferente" -, eppure il botto mediatico-giudiziario valse a spostare 600 mila voti - parola di Piepoli del Cirm - a favore di Prodi. Berlusconi perse le elezioni, perché il gip, per la fretta, l'11 marzo, a 40 giorni dal voto, ordinò due rumorosi arresti eccellenti, senza aver compulsato la prova, cioè la famigerata registrazione del bar Mandara di Roma. Eppure, nella sua ordinanza, scrisse: «La chiave di volta… è costituita dalla conversazione intercettata il 2 marzo 1996, alle ore 12…». Peccato, che, forse pressato (da chi?), il giudice Rossato, quella intercettazione non s'era proprio curato di ascoltarla. Anzi, gettò fumo negli occhi, precisando: «Di avere preventivamente all'emissione del provvedimento … accertato la veridicità della riproduzione». Non era vero. Fu costretto ad ammetterlo, l'8 novembre 2002, in un'aula di tribunale. In ultimo gli antiberlusconiani, distrutti dal successo elettorale del 2008, ma ancor più dall'eccezionale fattività del buon governo di Silvio, sono trapassati dagli ominicchi, dai quaquaraquà e dalle donne di casinò alle femmine di casino, le "Escort", che noi, romanacci politicamente scorretti, definiamo "mignotte".

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