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La falsa verità dei guardoni

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L'approvazione del Lodo Alfano (salvo bocciatura da parte della Corte Costituzionale) ha proiettato l'Italia in una nuova dimensione, quella dello scontro tra il Cavaliere (con i suoi alleati) e lo schieramento di sinistra improntato per la prima volta su temi concreti, programmatici, in ultima analisi politici. Ma c'è un ridotto di irriducibili che cerca comunque di giocare un'altra partita, quella dell'attacco personale, della denigrazione fisica e intellettuale. Proprio a questo scopo si è armata questa primavera (con la complicità di donna Veronica) una campagna vergognosa, capace di spazzare via ogni senso di dignità e rispetto umano. Ci hanno proposto (sulle colonne di Repubblica in primo luogo) una distorta idea dell'informazione, cercando di far passare il concetto che sbirciare dentro casa dal buco della serratura (o dal registratore della D'Addario) è sano giornalismo d'inchiesta. Niente di più falso in verità, ma la campagna ha fatto proseliti (anche se gli italiani non sono così stupidi), tanto da trovare spesso la sintonia di Avvenire, giornale abitualmente serio e compassato. Si è generato un disgustoso polverone, che ha finito per mettere in discussione uno dei principi più seri del nostro vivere collettivo: i fatti privati tali sono per tutti, fermo restando il doveroso rispetto delle leggi. Per colpire Berlusconi hanno buttato giù la porta di casa, con l'intenzione di colpirlo nel privato ma senza porsi il problema che prima o poi sarebbe successo anche a qualcun altro. Si è aperta una diga, con cinismo infinito, negando quella separatezza tra pubblico e privato che invece è sostanza nel rapporto tra esseri umani prima ancora che nella lotta per il potere. Chi ha un ruolo pubblico ha grandi doveri di trasparenza: proprio per questo non tutto quello che è emerso delle serate a palazzo Grazioli ci piace. Ma non per questo possiamo approvare l'insieme della vicenda. Abbiamo visto fotografie scattate nei bagni e sentito conversazioni registrate all'insaputa di chi parla. E le abbiamo sentite non perché ottenute attraverso intercettazioni disposte dalla magistratura, bensì realizzate personalmente dalla diretta interessata (sempre la D'Addario). Tutto questo ha generato prese di posizione durissime, come quelle di Avvenire, che però mai si sono soffermate un momento a riflettere sul pericolo della strada intrapresa, cioè quella della ricerca di colpire l'avversario sul lato personale, affettivo e sessuale. Questa deriva deve essere fermata al più presto riportando saggezza nei comportamenti di tutti. Chi vuole ergersi a maestro di vita deve sapere che fare la morale agli altri è sempre sgradevole e forse anche sbagliato. Ma soprattutto avvia un meccanismo perverso, che non può finire diversamente che alle rivelazioni (vere o false) sulla sentenza che riguarda il direttore di Avvenire o la compravendita di un appartamento da parte del direttore di Repubblica. Chi in questi mesi si è avventurato su questa pessima strada faccia subito atto di pentimento, che è supremo atto cristiano. Vogliamo un Paese normale.

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