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«I politici siano innovativi Chi sbaglia si faccia da parte»

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«Legabbie salariali per il Sud hanno avuto la loro ragione d'essere in un'altra epoca. La crisi economica oggi impone la ricerca di soluzioni per creare reddito aggiuntivo piuttosto che comprimere quello che c'è già». È una bocciatura senza appello quella che arriva da Amedeo Lepore, docente di storia economica a Bari e consigliere di amministrazione dello Svimez, sull'idea lanciata dal premier Berlusconi per una differenziazione dei salari tra le regioni d'Italia. Lepore ha ricoperto incarichi istituzionali nel comune di Napoli ed è uno dei più ascoltati consiglieri sulle tematiche del Sud dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Cosa propone al posto delle gabbie? «Meglio dare premi alla produttività ovunque si maturi piuttosto che tenere bassi i salari. E poi incentivi automatici alle imprese del Sud come il credito d'imposta automatico sugli investimenti». Berlusconi parla di un piano decennale per trasformare il Sud. Che giudizio ne dà? «I contenuti ancora non precisamente delineati vanno agganciati a un metodo per evitare che si faccia solo un elenco di questioni che restano sulla carta». Qual è? «Da un lato la piena applicazione dell'art. 119 della Costituzione che prevede lo sviluppo di strategie nazionali per superare il divario tra Nord e Sud. Questo insieme a un coordinamento della spesa per concentrarla su obiettivi di carattere industriale. In più serve uno presa di coscienza da parte di tutto il Sud che deve fare un passo avanti e prendersi le sue responsabilità». Uno dei tasti battuti dal premier è proprio quello della classe dirigente meridionale che non ha saputo approfittare delle risorse stanziate in questi anni? «È uno dei punti chiave del processo di trasformazione. C'è da recuperare un divario che separa il Sud dal Nord da 60 anni. E oggi più che mai è necessaria una classe dirigente meridionale innovativa che abbia una visione nazionale e metta da parte la sola rivendicazione di risorse e gli intenti separatisti. I politici impegnati in questa sfida che non hanno o non raggiungono gli obiettivi devono mettersi da parte». Può spiegare la «visione nazionale»? «Far uscire il Sud Italia dall'arretratezza è un problema di tutto il Paese. Lo dice una ricerca dell'Università del Galles sulla competitività di 145 aree regionali di tutto il mondo. La Lombardia è la prima regione italiana della classifica e si piazza al 96esimo posto. Senza il Meridione l'Italia non va da nessuna parte». Che direzione deve predere il piano del governo? «La parola è una sola: reti per lo sviluppo. Che sono sia quelle di trasporto ma anche quelle immateriali che connettano la formazione e il lavoro. E ancora le reti del credito». Non basta la Banca del Mezzogiorno? «Va bene il potenziamento della rete del Credito Cooperativo immaginata da Tremonti ma non bisogna dimenticare il rafforzamento di quello a favore dell'investimento di medio e lungo termine». C'è un elemento che può far fare il salto di qualità al Sud? «Le nuove tecnologie possono fare delle regioni meridionali una Silicon Valley di beni immateriali. Un sistema di innovazione aperte che metta in contatto i ricercatori, i tecnici e le università, con il sistema delle piccole e medie imprese che cercano soluzioni ai problemi. In questo modo un sistema frammentato può unirsi e diventare una massa critica. Tutto questo però che rappresenta sviluppo locale va sostenuto con un disegno nazionale».

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