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Il premier disinneschi il polo padano

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L'ultima iniziativa non è soltanto stupida, ma palesemente oscena ed incivile tanto da aver provocato reazioni radicalmente negative in tutti gli schieramenti. Proporre, come hanno fatto i parlamentari leghisti nella Commissione Cultura di Montecitorio, l'introduzione nell'ordinamento scolastico di un test per gli insegnanti «dal quale emerga la conoscenza della storia, delle tradizioni e del dialetto della regione nella quale intendono lavorare», significa ammettere, senza equivoci, il disconoscimento dell'appartenenza ad un'unica nazione formatasi nel tempo attraverso l'amalgama di culture e di storie diverse, la quale, piacia o meno, è l'Italia di tutti, anche di chi l'avversa in nome di un'altra «nazione», chiamata arbitrariamente Padania, frutto della fervida fantasia di agitatori degli anni Ottanta che colsero nel disagia di tanta gente in buona fede l'occasione per mettere in discussione lo Stato nazionale. I leghisti possono ignorare (e non ci stupisce) la formazione della nostra comunità e perfino irridere ad essa, ma non hanno alcun titolo per innestare le loro idiosincrasie separatiste nelle istituzioni formative. Con la singolare alzata d'ingegno, i titoli di studio, i curricula, le storie personali dei docenti dovrebbero svanire nel nulla. Sicuramente prevarrà il buon senso e l'emendamento leghista verrà, come merita, cestinato soprattutto dopo la minimizzazione che dell'accaduto ne ha fatto il capogruppo Cota; lascia comunque perplessi l'apertura del ministro Gelmini sull'insegnamento del dialetto nelle scuole. Resta comunque l'inquietudine che suscita l'esercizio costante del Carroccio finalizzato alla dissoluzione dell'unità morale, culturale e politica della nazione. La proposta avanzata, infatti, non è l'estemporanea provocazione di una forza di lotta e di governo. Essa è il sintomo denotante una studiata strategia volta alla costruzione di un «polo padano» il cui scopo è quello di succhiare sangue al Pdl e ridurlo, nelle regioni settentrionali, alla marginalità e, in prospettiva, all'irrilevanza elettorale. La partita che la Lega sta giocando, nell'indifferenza sembra del centrodestra, non è quella di contenere, come è stato scritto, l'improbabile deriva sudista del Pdl, ma, più ambiziosamente, è volta alla conquista dell'egemonia in un'area nevralgica del Paese attraversata da pulsioni disgregatrici del tessuto nazionale, particolarismi localisti, egoismi dilatatisi in maniera abnorme a fronte delle mancate risposte economiche e sociali da parte dei governi. In questo contesto, davvero esplosivo, ci sta di tutto, dallo sciovinismo più becero alla richiesta di misure estreme per risolvere problemi reali con metodi sbagliati. Perciò di volta in volta la Lega tira fuori i medici-spia, i presidi-spia, le ronde, il ritiro del contingente militare italiano dall'Afghanistan tanto per vellicare paure ed istinti primari delle popolazioni di riferimento. Ora è la volta del test di dialetto. E certamente non è finita qui. Come si comporterà il Carroccio quando la contesa sulle presidenze delle regioni del Nord renderà il confronto all'interno della maggioranza incandescente? In autunno, prevedibilmente, farà molto caldo. E Bossi non sembra aver voglia di raffreddare il clima. Se ne faccia una ragione il Cavaliere. E se può fronteggi per tempo l'effetto serra che rischia di tramortire la sua coalizione.

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