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Boccuzzi sceglie Bersani

Antonio Boccuzzi, è l'unico sopravvissuto al rogo della ThyssenKrupp di Torino nel quale morirono sette operai. dal 2008 Boccuzzi è deputato del Pd

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{{IMG_SX}}"Scelgo Bersani". Non dica perché è simpatico che come battuta è già vecchia. «No, non glielo dico. Non è il mio modo di intendere la politica». Antonio Boccuzzi è rimasto un po' lo stesso. Solo i capelli, raccolti in una coda, si sono allungati. Per il resto è ancora l'operaio della Thyssen, l'unico sopravvissuto. E allora, perché Bersani? «Anzitutto perché spero ancora in una politica che non parli politichese, che parli come la gente normale. Ecco, vorrei un Pd veramente popolare». D'accordo, è un congresso non un corso di dizione... «E infatti le ho detto anzitutto l'aspetto formale. Il Pd non viene compreso, i suoi leader non sono capiti dalla base. Poi ci sono le questioni sostanziali». E quali sono? «Due su tutte. Della mozione Bersani mi ha convinto la parte sul lavoro, la lotta alla precarizzazione e il sostegno verso la stabilizzazione. Guardi, quando ero bambino e andavo in giro con mio padre passavano le Fiat 131, le Argenta e lui con orgoglio diceva: "Quella l'ho fatta io". Ecco, si è perso lo spirito del lavoro, l'attaccamento all'azienda se ogni sei mesi devi cambiare società». Solo il lavoro?  «No, l'altro aspetto è quello relativo alla scuola, investire sulla scuola. Più in generale questo sembra, parafrasando il famoso film, non un Paese per giovani. Vorremmo che il Pd tornasse a far sognare i ragazzi. La sicurezza, altro elemento fondamentale, sintomo di civiltà, deve essere uguale per tutti, per i ricchi e per i poveri, per gli italiani e per gli stranieri, per chi è famoso e per chi non lo è, secondo un principio di giustizia e di uguaglianza che nel nostro Paese e ancora lungi dal divenire».  A Veltroni l'ha detto che andava con Bersani? «No. Non ho mai pensato di dovergli chiedere il permesso. Non solo io, ma tutti quelli che si sono candidati sono stati sempre molto indipendenti». Che cosa l'ha delusa di Veltroni? «Nulla, non sono deluso da lui». E da cosa? «Ero convinto che il Pd potesse essere un'esperienza che ne raccogliesse tante diverse. Non è stato così, quel progetto è per ora in parte fallito». E va con quelli che pensano l'esatto contrario?  «Non penso assolutamente sia il contrario. Con la mozione Bersani si sono schierati la Bindi e Letta, così come con la mozione Franceschini si è schierato Piero Fassino, l'ultimo segretario dei Ds. L'amalgama tra le diverse anime del Pd, è elemento fondamentale per la nascita di un grande partito che milioni di italiani si aspettano». Dietro Bersani c'è il vecchio? «Ma quando mai. Io ho compiuto due giorni fa 36 anni. Ci sono Esposito, che stimo molto, Boccia, Ginefra, Bordo, Berretta, Orlando. Ce ne sono tanti e altri verranno». Che Pd sogna lei? «Un partito che sia radicato sul territorio. Vede, spesso mi dicono dopo le manifestazioni "Finalmnete uno che abbiamo capito che voleva dire"». E Franceschini non si capisce? «Guardi, quello che non mi è piaciuto è quel parlare di vittoria dopo le Europee, dopo aver perso sette punti. Una cosa inconcepibile». Tutto da buttare l'attuale segretario? «No, ho condiviso la prima parte. L'assegno ai disoccupati, le proposte, il fatto di cominciare dal lavoro. È stata una buona fase». Poi s'è messo a inseguire il gossip. «Ecco, quello non l'ho condiviso. Assurdo inseguire Berlusconi. Il Pd deve fare la sua politica, non capisco questo continuo dipendere in qualche modo dal premier. Nel bene e nel male».

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