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Angelilli: "La Turchia non è pronta per entrare in Europa"

Roberta Angelilli, vicepresidente del parlamento europeo

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Come ha fatto ieri, spiegando ai suoi sostenitori in un comizio che «non siamo più un Paese che si fa scrivere l'agenda da altri». Roberta Angelilli, fresca vicepresidente dell'europarlamento, alla sua quarta legislatura a Strasburgo, è categorica: «La Turchia è molto indietro rispetto ai parametri europei. Non vogliamo scrivere l'agenda di nessuno ma in questo momento un suo ingresso non è possibile, il governo di Ankara deve lavorare ancora molto». Quali sono i punti che ancora non convincono la Ue? «Molti. Ci sono lacune sui diritti umani, sulla parità tra uomini e donne, problemi economici e politici. Ci sono, ad esempio, zone interne della Turchia in condizioni di assoluto sottosviluppo. Immaginare Ankara nella Ue vorrebbe dire dirottare verso di loro i fondi messi a disposizione da Bruxelles per combattere la crisi economica. Sottraendoli quindi alle nostre aziende. Poi c'è un problema politico, è uno Stato in cui non esiste una distinzione netta tra religione e Stato, tra pubblico e confessionale». Ma il no alla Turchia può avere pesanti ripercussioni economiche sui Paesi europei? «No, Ankara ha già dei rapporti privilegiati con molte aziende. La soluzione potrebbe essere quella di una partnership privilegiata per quanto riguarda gli scambi commerciali».  C'è anche chi obietta che la Turchia non è Europa e quindi non dovrebbe entrare nella Ue. «Anche per me non è Europa. Però ha una grande importanza da un punto di vista geopolitico, è un ponte con l'Asia. E poi fa parte della Nato. Insomma è un Paese con il quale abbiamo tutto l'interesse, come europei, ad avere buoni rapporti. Però questo non vuol dire un suo ingresso automatico nella Ue. È fuori discussione». Al governo turco però non piace molto questo sentirsi perennemente sotto esame. «Dal loro punto di vista li capisco. Ma devono anche capire le preoccupazioni dell'Europa. Stiamo ancora costruendo una Ue a 27 Paesi, ce ne sono altri che stanno aspettando di entrare come la Croazia. E già governare tutto questo processo è difficile. L'adesione non è solo un pezzo di carta, bisogna valutare anche gli aiuti economici dei quali i nuovi Stati hanno bisogno se non vogliamo creare un'Europa a due velocità». Lei è vicepresidente del Parlamento, ad Antonio Tajani è stato rinnovato l'incarico di vicepresidente della commissione europea. Un bel successo per l'Italia. Però abbiamo perso la sfida per la presidenza. Come mai? «Perché paghiamo un ritardo nei confronti degli altri Paesi europei che ancora non abbiamo colmato. In questi anni mi sono resa conto che nei nostri confronti ci sono una serie di pregiudizi. Alcuni molto stupidi, altri, purtroppo, fondati». Parliamo di quelli fondati. «Beh noi siamo visti come i campioni di assenteismo e questo in parte è vero. Tranne poche eccezioni non ci dedichiamo troppo al lavoro a Strasburgo. E poi, fondamentalmente, fino a oggi ai nostri parlamentari l'Europa è interessata molto poco. Per questo non abbiamo una vera "rete" a Bruxelles, i nostri direttori generali non sono mai in posizioni di vertice. E da più di vent'anni non abbiamo un presidente europeo. Questo perché le altre nazioni fanno sistema, noi pensiamo a litigare». Come è successo, raccontano, anche sulla sua candidatura a vicepresidente.  «Esatto. Alcuni esponenti del Pd sono venuti a dirmi che avevano difficoltà a votarmi perché sono di An. È un atteggiamento tutto italiano, i deputati degli altri Paesi in questi casi sono tutti compatti. Fanno sistema, come dicevo prima. Noi ancora no». Oggi incontrerà il presidente del Parlamento, Jerzy Buzek, per discutere delle sue deleghe. Ha già qualche preferenza? «Vorrei avere una competenza su Euromed, il sistema di scambi commerciali nell'area dei Paesi del Mediterraneo. È un tema che interessa molto alle nostre imprese».

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