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L'Europa aiuti l'Iran a cogliere la sua occasione storica

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Machi è questo scienziato che per anni è stato il principale artefice del contestato programma nucleare iraniano e che significato hanno le sue dimissioni avvenute proprio al culmine della fase più turbolenta della vita politica iraniana dalla rivoluzione ad oggi? Il ruolo di Aghazadeh nel sistema politico iraniano è duplice. Da un lato il suo nome è legato alla decisione iraniana di divenire una potenza nucleare, responsabile per l'attuazione del programma nucleare e quindi anche coinvolto nel lungo braccio di ferro con l'AIEA, l'Agenzia Atomica internazionale. Dall'altro è un politico di lungo corso fortemente legato alla figura di Moussavi di cui diviene sodale negli anni Ottanta quando quest'ultimo, che oggi appare all'Occidente un paladino riformista anti-Ahmadinejad, era primo ministro e decise di avviare il programma nucleare. Come figura chiave del regime, di cui ricopriva anche la posizione di vice premier, era inserito nella lista nera delle Nazioni Unite a causa del suo ruolo nella costruzione delle capacità nucleari iraniane. Aghazadeh aveva dato le proprie dimissioni venti giorni fa nel pieno dei disordini di piazza quando dura e sanguinosa è stata la contrapposizione tra Ahmadinejad e Moussavi. Soltanto ieri tuttavia le dimissioni sono state accettate da Ahmadinejad, che si è trovato nella necessità di rinunciare per motivi politici interni ad un uomo cardine del proprio programma nucleare, che per questo motivo potrebbe anche subire dei ritardi. L'uscita di scena di Aghazadeh non è dunque un segnale di un cambiamento di atteggiamento da parte del regime iraniano sul tema del nucleare quanto piuttosto il segnale di un rafforzamento interno di Ahmadinejad e probabilmente un indicatore di normalizzazione della situazione politica e della vittoria della repressione sul dissenso, sia quello di piazza che quello politico. Ahmadinejad appare dunque uscire rafforzato dalla crisi, almeno nel breve periodo, anche se non è dato prevedere quali conseguenze vi saranno sulla scena internazionale. Non necessariamente un rafforzamento del presidente fondamentalista iraniano, che ha abituato l'opinione pubblica mondiale ad una nauseante retorica anti-israeliana ed anti-occidentale, vorrà dire che la minaccia nucleare iraniana diverrà realtà. È necessario renderci ben conto che il consenso sul programma nucleare iraniano è trasversale e che anzi il «moderato» Moussavi ne è più responsabile del falco Ahmadinejad. L'unica strategia saggia per l'Occidente oggi è quella di riuscire a portare avanti, con i necessari compromessi, un'operazione di razionalizzazione del comportamento internazionale iraniano, anche al costo di pagare un prezzo politico, come il presidente americano Obama ha già lasciato intendere essere disposto a fare. In ballo non c'è solo l'annosa e difficilmente districabile questione israelo-palestinese ma anche altre questioni non secondarie quali la tenuta dell'Iraq dopo il ritiro degli americani, una maggiore sicurezza delle nostre truppe in Afghanistan e la possibilità di riempire nei prossimi anni con il gas iraniano e quello iracheno buona parte del gasdotto europeo Nabucco. Nei prossimi mesi l'Iran ha di fronte a sé un'occasione storica, la cui leadership politica non è verosimilmente preparata a cogliere, ma che l'Italia - primo partner commerciale europeo di Teheran - dovrebbe cercare il più possibile di incoraggiare. Anche alla luce del fatto che la grave crisi politica e la repressione interna del regime potrebbero aver aperto nuove vulnerabilità nello schieramento fondamentalista che, se opportunamente sfruttate, potranno dare qualche risultato. Un primo test delle intenzioni del regime iraniano dopo la grave crisi interna sarà vedere chi sarà nominato successore di Aghazadeh e a quale costellazione politica del complesso sistema iraniano farà riferimento. *Fondazione Farefuturo

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