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Obama dal Papa

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seguedalla prima Era quello il passaggio cruciale del primo confronto tra Obama e Benedetto XVI, destinato a saldare la nuova affinità tra il Vaticano e la Casa Bianca, dopo il complesso rapporto con Bush. Barack sapeva bene che il colloquio con Ratzinger non consentiva passi falsi: così, è rimasto guascone fino all'ultimo tratto di Via della Conciliazione, quando da dietro il finestrino salutava la folla indossando occhiali scuri da superstar. Una volta varcata la soglia del Palazzo Apostolico, è parso trasfigurato. Una palpabile emozione l'aveva colto già prima della conversazione con il cardinal Bertone. Continuava a sedersi e rialzarsi per presentare i membri dello staff: dieci minuti più tardi, davanti al Pontefice, il volto di Barack pareva insidiato da mille impercettibili smorfie. Questo non era il solito summit tra capi di Stato: qui c'era da dialogare con il vicario di Cristo. «Deve essere molto stanco, dopo questi giorni all'Aquila», lo ha accolto Benedetto XVI. Lui ha spiegato che «è stato un G8 molto produttivo, abbiamo stanziato 20 miliardi di aiuti per i Paesi poveri». Quando i due interlocutori si sono seduti davanti a uno scrittoio della biblioteca privata del papa, Obama si è come stupito per i flash dei fotografi: «Lei deve esserci già abituato, io sto imparando ora». Quaranta minuti di faccia a faccia, con Obama a ricordare che, quando viveva a Giakarta con la mamma e il patrigno, frequentava una scuola elementare cattolica, la "Fransiskus Assisi". Si sono trovati d'accordo su molte questioni: il pontefice tedesco ha calcato l'accento sulla necessità di favorire i ricongiungimenti familiari con gli emigranti, sul dialogo tra le culture e le diverse religioni, sul narcotraffico, l'emergenza alimentare nel Terzo Mondo, la tolleranza, sulla crisi economica. Il presidente Usa ha chiesto al Santo Padre di continuare a esercitare la propria influenza per la pace, sopratutto in Medio Oriente. Ma fra tante «convergenze» tra il leader spirituale e quello politico, la «grande sfida» era parlare con «franchezza» dell'obiezione di coscienza dei medici antiabortisti, delle staminali, del diritto alla vita. È stato lì che Obama si è addentrato verso la sensibilità dei credenti, con un passaggio niente affatto scontato e in qualche modo storico. E prima della fine del colloquio (che la Curia ha definito «completamente soddisfacente, con un ospite attento e capace di ascoltare»), l'inquilino della Casa Bianca ha consegnato al Papa una riservatissima lettera di Ted Kennedy, il vecchio leone democratico malato di cancro. In qualche forma misteriosa, era l'evocazione del clan bostoniano, qui dove quasi cinquant'anni fa il fratello John aveva incontrato Giovanni XXIII. C'era il tempo del saluto di Benedetto XVI alle figlie di Obama, Sasha e Malia, alla suocera Marian Robinson e a Michelle, (avvolta in un tailleur nero con velo), reduci dalla visita alla Cappella Sistina, i Musei e le Grotte Vaticane. Poi lo scambio dei doni: Barack ha offerto al Papa la stola liturgica in cui era stato avvolto il corpo di Giovanni Neumann, il primo santo americano. L'altro ha replicato con un mosaico raffigurante San Pietro («Gli troveremo un posto d'onore in casa», ha assicurato il presidente), e due copie delle encicliche: l'ultima, "Caritas in Veritate", e a sorpresa la "Dignitas Humanae", quella sulla bioetica. Nessun intento polemico nel regalo, ha precisato la Santa Sede. Obama l'ha valutata: «È quello di cui parlavamo prima, avrò qualcosa di cui leggere in aereo». Il congedo: «Pregherò per lei», ha salutato il Papa. E l'altro: «Sento che stabiliremo rapporti molto profondi». Il vento di Roma soffiava di nuovo sul mondo. Stefano Mannucci

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