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dall'inviato Fabrizio dell'Orefice L'AQUILA L'accordo sul clima c'è.

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Maanche dall'approvazione che arriva dagli ambientalisti, persino quelli italiani. È Barack Obama a sbandierare la sua green flag. Tanto che in conferenza stampa parla di «passi avanti importanti» nella lotta al cambiamento climatico e al surriscaldamento del pianeta. Usa toni lirici, il presidente degli Stati Uniti, parla di un «consenso storico» tra Paesi sviluppati e in via di sviluppo su questo tema al termine della riunione del Major Economies Forum. Non è un caso che sia proprio Obama a battere su questo tasto, che segnerà anche la cifra della sua presidenza. L'invito di Obama è esplicito: «Dobbiamo impegnarci per le generazioni future - dice - Occorre decidere se dare forma al nostro futuro o lasciare che gli eventi decidano per noi». L'intesa raggiunta a L'Aquila tuttavia contiene delle novità non di poco conto. E Obama le elenca subito. Per la prima volta - spiega - sono stati indicati obiettivi concreti (riduzione delle emissioni con il limite dei due gradi centigradi entro il 2020), anche se con qualche puntualizzazione di Cina e India. Pechino, in particolare, ha subito messo le mani avanti spiegando che l'accordo non è vincolante. Nella dichiarazione finale i leader di Australia, Brasile, Canada, Cina, Unione Europea, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Messico, Russia, Sudafrica, Regno Unito e Stati Uniti - rigorosamente in ordine alfabetico - affermano che il cambiamento climatico «è una delle più grandi sfide del nostro tempo». Si ribadisce come «la necessità e lo sviluppo di tecnologie energetiche pulite al minimo costo possibile sia urgente». Il Mef riconferma l'impegno a rispettare la convenzione quadro delle Nazioni Unite e si dice «determinato a fare tutti gli sforzi per raggiungere un accordo» alla conferenza Onu sul clima di dicembre a Copenaghen. «Per i Paesi in via di sviluppo, lo sviluppo economico e sociale e la lotta contro la povertà sono le priorità e lo sviluppo a bassa emissione di carbonio è indispensabile per lo sviluppo sostenibile», si legge ancora nel testo. Quindi un'altra novità. Si riconosce «l'opinione scientifica secondo cui l'incremento della temperatura media globale al di sopra dei livelli pre-industriali non dovrebbe eccedere i due gradi centigradi» e per questo «collaboreremo - si legge nella dichiarazione - per identificare» entro la conferenza di Copenaghen di fine anno «un obiettivo globale per una riduzione sostanziale delle emissioni entro il 2050». Anche in questo caso il riconoscimento della comunità scientifica è una novità in un vertice di Grandi, che generalmente si mantengono in queste circostanze a vaghe espressioni politiche. I grandi leader inoltre agiranno «per ridurre le emissioni causate dalla deforestazione e dal degrado delle foreste di emissioni di gas a effetto serra, anche tramite un maggiore sostegno ai paesi in via di sviluppo». In merito all'adattamento agli effetti avversi del cambiamento climatico, che è «essenziale», i grandi sottolineano che c'è «un bisogno particolare e immediato di assistere i più poveri e vulnerabili ad adattarsi a tali effetti», perché non saranno solo i più colpiti «ma coloro che hanno contribuito in modo minore all'accumulo di gas a effetto serra nell'atmosfera». Dunque dovrà essere reso disponibile «un sostegno aggiuntivo e includere risorse aggiuntive all'assistenza finanziaria esistente». Certo, sono sparite le tappe intermedie per raggiungere gli obiettivi. E questo certamente è un passo indietro. C'è un impegno al «coordinamento e all'aumento in modo drastico degli investimenti del settore pubblico nella ricerca, sviluppo e dimostrazione di queste tecnologie, con l'intento di raddoppiare tali investimenti entro i 2015». E c'è una data: i paesi guida trasmetteranno i loro rapporti su piani di azione roads map entro il 15 novembre 2009. Obama canta vittoria, ha portato a casa un risultato comunque storico: «Da qui alla Conferenza di Copenaghen gli obiettivi verranno negoziati», dice il presidente americano, che ha definito il clima un punto centrale del dibattito pur ammettendo che si tratta di una delle sfide più dure e che nessuno Stato, pur mettendoci il massimo impegno,può farcela da solo: «Non c'è una sola nazione responsabile. Siamo partiti bene, ma i progressi futuri non saranno facili». Il clima di recessione economica, ha aggiunto, renderà «non facile» trovare un accordo definitivo per rinnovare il protocollo di Kyoto. E possono cantare vittoria anche gli altri Paesi che hanno trovato da parte statunitense una nuova linea. Alla fine anche gli ambientalisti italiani, i più retrogradi, possono essere soddisfatti. Legambiente parla di uno «spiraglio che si apre». Il Wwf ammette i «passi in avanti» ma rimarca le divisioni tra i Paesi. Quello che si apre, comunque, è un nuovo corso. La questione clima è entrata nell'agenda dei Grandi. Che a loro volta si sono impegnati per cercare una soluzione con impegni meno vaghi. Non è la soluzione. Ma il percorso è cominciato.,

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