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Piano Casa: il Pd critica e poi applica

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Vi ricordate tutto il can-can della sinistra contro il piano casa? La primavera era appena sbocciata e, assieme alle rondini, si cominciarono a vedere i primi segnali della ripresa economica dopo il Grande Gelo della recessione mondiale.   Gli "sherpa" del governo, a quel punto, si ritrovarono per individuare i campi d'azione da battere affinché questa benedetta ripresa potesse procedere spedita. Ma Berlusconi, che cominciò a fare fortuna costruendo palazzi a Milano 2, anticipò tutti sostenendo che l'edilizia meritava la "pole position". Se si voleva davvero tornare a sperare, la casa, e solo la casa, poteva essere il volano della svolta. Il premier si gettò a capofitto sul progetto: perché non consentiamo ai proprietari di villette, nelle periferie delle città, di aumentare di un 20-25% il volume delle proprie abitazioni? Alla sinistra, che pure è stata protagonista, venti-trent'anni fa, dello scempio edilizio in molte regioni d'Italia, non parve vero di sollevarsi contro l'untore. Come un sol uomo, quelli del Pd insorsero al grido di "No alla cementificazione!". E la ripresa? Chissenefrega: meglio a casa licenziati, piuttosto che con la casa cementificata. Di fronte alla levata di scudi della sinistra, il governo dovette un attimo abbozzare e poi cercare un accordo a livello di Regioni che, sul tema edilizio, hanno poi sempre la parola finale. Insomma, ci fu un tale fuoco di sbarramento, un vero polverone, che il piano sembrò quasi volatilizzarsi.   E la cosa non piacque a molti: abituati a vedere all'opera un governo che si muove pragmaticamente (pensate, la Marcegaglia aveva sollecitato a maggio interventi per l'industria e dette a palazzo Chigi cento giorni di tempo: è stata accontentata in neppure trenta), il silenzio che, all'improvviso, avvolse il piano casa stonava un po'. Ma oggi scopriamo, invece, che quel piano non è rimasto lettera a morta, anzi. E sapete quali sono state le Regioni che sono apparse le più sollecite a varare il provvedimento? Proprio quelle che un tempo (oggi non più, dopo i risultati delle Europee e delle Amministrative di giugno) venivano chiamate «rosse», cioè le Regioni con giunte di centrosinistra che più si erano battute in primavera contro «la cementificazione selvaggia» del progetto governativo. A fare da battistrada è stata, infatti, la Toscana, seguita dall'Umbria (il 17 giugno) e dall'Emilia-Romagna (il 30 giugno). Soltanto il 1° luglio una Regione di centrodestra, il Veneto, ha approvato la sua legge che, ci auguriamo, sarà seguita presto da tutte le altre. Se proprio vogliamo trarre una morale dalla vicenda, dovremmo dire che, stavolta, la sinistra ha predicato male, ma ha poi ha razzolato bene. Nel senso che, dopo aver tuonato contro la cementificazione selvaggia e l'obbrobrio del piano di Berlusconi, si è subito adeguata alle linee generali del provvedimento, rendendosi conto che un simile disegno potesse essere la spinta decisiva per consolidare la ripresa in Italia. Possiamo già immaginare la replica delle Regioni «rosse» alle nostre obiezioni: ci siamo mosse, diranno, solo dopo l'accordo con il governo che ha smussato gli angoli più acuti della bozza di progetto, venendo così incontro alle nostre richieste.   Peccato solo che le leggi regionali appena varate ricalcano in modo evidente quelle norme che Berlusconi aveva evocato solo pochi mesi fa, provocando scandalo ovunque nelle file del Pd. In conclusione, è proprio il caso di dire, come il povero maestro Manzi, che «non è mai troppo tardi». Per imparare, ma anche per mettersi in regola.  

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