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Troppo depresso per la prigione E il boss torna a casa

Il presunto boss Giacomo Maurizio Ieni

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{{IMG_SX}}Lo chiamano «carcere duro». O più semplicemente 41 bis. Un numero che evoca immediatamente l'eterna lotta tra il bene e il male, tra lo Stato e la mafia. Storie di uomini come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma anche di Giacomo Maurizio Ieni, 52 anni, presunto capo della cosca mafiosa Pillera. Un boss, per usare un termine caro alla letteratura cinematografica. E forse di un film si tratta visto che, dopo tre anni, Ieni ha lasciato il regime di 41 bis per tornarsene a casa. Il motivo? È depresso. No, non si tratta di un film. La decisione è stata presa dalla terza sezione penale del Tribunale di Catania e, da lunedì, Ieni si trova agli arresti domiciliari nel capoluogo etneo. La notizia è trapelata solo ieri. Esattamente nel giorno in cui, a Roma, il ministro dell'Interno Roberto Maroni tracciava il bilancio di un anno di lotta alla criminalità organizzata: 2.894 persone arrestate tra cui 207 latitanti (9 dei 30 considerati più pericolosi), 4.314 beni confiscati per un valore complessivo di 3.3 miliardi di euro. Un impegno notevole che, però, rischia di essere spazzato via dall'ennesima decisione discutibile dei giudici. Il presunto boss era detenuto nel carcere di Parma dal 30 giugno 2006 per associazione mafiosa. Sottoposto al regime di carcere duro, lo stava scontando nel centro clinico dell'istituto penitenziaro. Nella precedente udienza del processo che lo riguarda, collegato in teleconferenza, era scoppiato in lacrime sostenendo di «essere fortemente depresso e di non riuscire a stare in carcere». Anche per questo, forse, i giudici hanno deciso di accogliere la richiesta dei suoi legali Enrico Trantino e Giuseppe Lipera secondo cui, durante la detenzione, Ieni ha perduto 20 chilogrammi di peso. Poco male, d'ora in poi «potrà ricevere - come scrive il tribunale - quel sostegno psicologico che la struttura carceraria non può dargli». «Tra l'altro - continua la motivazione - la sua condizione personale è tale da fare ritenere che ci si trovi in presenza di una situazione di pericolosità grandemente scemata». Insomma, la depressione ha reso Ieni più buono e pronto per tornarsene a casa. E forse il commento più appropriato è quello della procura di Catania che, contestando la decisione, si dichiara «estremamente sorpresa e sgomenta sia per la pericolosità sociale del soggetto al quale sarà permesso di tornare a Catania, sia perché nelle perizie redatte non ce n'era alcuna che stabilisce che il suo stato di salute sia incompatibile con la detenzione in un centro medico, così come si trovava ristretto». La polemica si arricchisce dei commenti indignati di Claudio Fava (Sinistra e Libertà), Pina Picierno (Pd), Gianpaolo Vallardi (Lega Nord e segretario della commissione Antimafia), Carlo Vizzini (Pdl) e di tanti altri, politici e cittadini normali. Ma i legali di Ieni hanno pronta la replica: «Un detenuto sta male, le sue condizioni fisiche non sono compatibili con il regime carcerario, viene posto agli arresti domiciliari così come vuole la legge. Tra l'altro Giacomo Ieni non era un condannato definitivo ma un normale imputato, come tanti purtroppo, il cui processo di cognizione è ancora in corso in primo grado». Sarà, ma non è la prima volta che Ieni ha a che fare con le patrie galere. Dieci anni fa, dopo due anni di detenzione cautelare, gli vennero concessi gli arresti domiciliari. Anche allora il presunto boss era indagato per associazione mafiosa. Peccato che, anziché starsene chiuso nella sua casa catanese, se ne andava tranquillamente a spasso. Alla fine i carabinieri lo intercettarono in un'affollata spiaggia di Giardini Naxos mentre prendeva il sole e lo arrestarono per evasione. La domanda nasce spontanea: succederà anche adesso? O la depressione gli ha reso «indigesto» anche il mare? C'è poi l'annosa questione del 41 bis. I mafiosi non l'hanno mai gradito. Dopo la morte di Falcone e Borsellino venne inasprito. La reazione dei boss si concretizzò nelle stragi del 1993 a Milano, Firenze e Roma. Nel 2002 Leoluca Bagarella, noto esponente del clan dei Corleonesi, lesse in Aula un autentico proclama a nome «di tutti i detenuti sottoposti al regime del 41 bis stanchi di essere strumentalizzati, umiliati, vessati e usati come merce di scambio dalle varie forze politiche». Peccato che lui stesso, sottoposto al carcere duro, si distinse per aggressioni ad agenti penitenziari e per aver gettato dell'olio bollente in faccia ad un boss della 'ndrangheta. Insomma, neanche il 41 bis è servito ad ammansirlo. Oggi la Camera sta discutendo un'ulteriore giro di vite contenuto nell'articolo 2 del ddl sicurezza. Dovrebbe diventare legge entro fine giugno. Nel frattempo il boss Rosario Gambino, 66 anni, recentemente trasferito da Miami all'Italia in seguito ad un'ordine di cattura firmato da Falcone negli anni '80, ci fa sapere che è «solo un vecchio malato e ha paura di morire». Dobbiamo aspettarci gli arresti domiciliari anche per lui?

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