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Un referendum da dimenticare

Maroni

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{{IMG_SX}}Una cosa è certa. L'ipotesi "election day" del 6-7 giugno 2009 è definitivamente tramontata. Il problema però rimane. Quando votare i referendum sulla legge elettorale? L'ipotesi che di ora in ora prende sempre più credito è quella di far slittare la consultazione direttamente al 2010. Al ministro dell'Interno, Roberto Maroni, la maggioranza ha dato mandato di consultare l'opposizione per decidere se votare il 21 giugno o rinviare il tutto all'anno prossimo. Certo è che le cose si complicano. Infatti, svanendo anche l'ipotesi di votare il 14 giugno, che avrebbe costretto alcuni elettori a recarsi alle urne per tre fine settimana consecutivi (7 giugno Europee e primo turno di Amministrative e 21 turno di ballottaggio per le Amministrative), emerge un problema giuridico. La legge infatti stabilisce che il referendum debba tenersi tra il 15 aprile e il 15 giugno. Rinviarli al 2010 o tenerli il 21 giugno comporterebbe comunque la necessaria modifica dell'attuale legge. E per farlo servirebbe con ogni probabilità un decreto legge che avrebbe bisogno, per la sua rapida approvazione, non solo di una larga maggioranza parlamentare ma anche della controfirma del Capo dello Stato. La partita quindi e tutta nelle mani di Maroni che assieme al collega Roberto Calderoli, ministro della Semplificazione, e Andrea Ronchi, ministro delle Politiche europee, ai capigruppo del Pdl alla Camera e al Senato, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, e ai sottosegretari Gianni Letta, Paolo Romani e Aldo Brancher, ha partecipato ad un vertice a Palazzo Grazioli presieduto da Silvio Berlusconi. L'impegno è quello di arrivare al consiglio dei ministri di venerdì prossimo con una proposta di data da poter formalizzare. Immediate le reazioni sia del mondo politico che del comitato proponente dei referendum. Così tuona Giovanni Guzzetta, presidente del comitato referendario: «Non possiamo far passare in cavalleria il fatto che si sta consumando un indegno sopruso. Vogliamo che sia messo agli atti che non esiste alcuna nobile ragione per decidere di non abbinare il referendum alle elezioni europee e amministrative del 6 e 7 giugno». Posizione sostenuta anche da Antonio Di Pietro, leader dell'Idv: «Qualsiasi data diversa dal 6 e 7 giugno è una presa in giro e non ci siederemo nessun tavolo e non risponderemo a nessuno. Noi non offriremo copertura, né alcuna sponda a questo governo che ha la gravissima responsabilità di aver buttato ingenti risorse economiche in un momento cosi difficile per il nostro Paese». Dello stesso avviso anche il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini: «Il referendum va fatto adesso perchè queste sono le regole in uno stato che ha le sue leggi, la sua Costituzione, le sue procedure». Il Pd invece si divide. Il leader del Pd, Dario Franceschini, insiste sull'election day mentre l'ipotesi del rinvio di un anno piace a Pierluigi Castagnetti e a Massimo D'Alema. Come non dispiace al Prc di paolo Ferrero: «Meglio far slittare il referendum elettorale al 2010. Sono altre le priorità che abbiamo oggi davanti e che il Paese deve affrontare». Dal Carroccio invece arrivano le spiegazioni di Umberto Bossi sulle affermazioni di giovedì del premier: «Io non ho bisogno di mettere Berlusconi con le spalle al muro i nostri rapporti sono troppo cordiali per cose del genere. A Berlusconi basta chiedere». E continua: «Il Cavaliere ha detto che c'era il rischio crisi, per tenere l'equilibrio nel Pdl tra Forza Italia e An. Io e Silvio ci intendiamo sempre».

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