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Il nuovo ospedale nato già vecchio

I danni provocati dal terremoto all'ospedale San Salvatore de L'Aquila

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{{IMG_SX}}"Dal vecchio ospedale San Salvatore alla nuova struttura di Coppito ci vogliono sei minuti di macchina, noi ci abbiamo messo trent'anni": eccola, nelle parole di un illustre primario urologo, Ettore Martini, la storia dell'ospedale dell'Aquila. Una storia difficile da inseguire. Sulle porte del Duemila la nuova struttura abruzzese si fregiava di un nuovo taglio del nastro. Sì, perché quello che molti oggi additano come un esempio di spreco di denaro pubblico, di inaugurazioni ne ha avute ben cinque, una per ogni lotto, ed è stato occupato senza essere ancora completato. Ettore Martini è in pensione da tempo e il suo sasso nello stagno lo gettò in un giorno di gaudio e tripudio, quello della festa grande, presenti politici, ministri, sottosegretari. All'epoca il presidente della Regione era Antonio Falconio, come manager Asl c'era Paolo Menduni che prese la coraggiosa iniziativa di avviare il trasloco. Altrimenti, forse, saremmo a piangere i morti nella storica e vecchia struttura di viale Nizza. Neppure Menduni, forse, avrebbe mai immaginato che il suo atto di coraggio sarebbe diventato, dopo nove anni, un drammatico boomerang. Trent'anni: l'ospedale dell'Aquila è nato già vecchio, anche un po' storpio, a ben vedere, con qualche arto in più venuto fuori per superfetazione nel corso del tempo. Il progetto nasce tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio dei Settanta, 1967 per la precisione: lo firma l'architetto Marcello Vittorini, un professionista di spessore, oggi ottantaduenne. Era orgoglioso della sua creatura, tanto che in alcune mattonelle si rintraccia ancora la «V» a ricordare la sua opera. Ma questo figlio gigante, ora, non lo riconosce più e, probabilmente, lo manderebbe volentieri in un orfanotrofio. Il concetto base dell'opera è fondamentale, anche con il senno del poi: si trattava del primo esempio di struttura ospedaliera che si estendeva in larghezza senza crescere in altezza, spalmandosi sulle esigenze di un territorio che aveva il vizio di mettersi a tremare, di tanto in tanto. Un gioiello, nei desideri della città orgogliosa. I lavori iniziano nel 1972: è lo snodo fondamentale, fondamenta, opere di cemento armato sono di quegli anni. La spina dorsale dell'ospedale si avvia all'osteoporosi già in prima infanzia: le imprese che si susseguiranno nell'esecuzione dei cinque lotti non toccheranno mai quella parte già messa a punto, intervenendo sulle altre fasi di edificazioni, impiantistica e quant'altro. La spesa iniziale prevista era di 11.395 milioni di lire, si arriverà a duecento miliardi. I finanziamenti rincorrono le varianti, che si rendono necessarie (ma è proprio così?) con il passare degli anni: intervengono diversi soggetti: la Cassa del Mezzogiorno, la Regione Abruzzo, più Ministeri, e i tempi continuano a dilatarsi in un circolo vizioso. Difficile rintracciare il susseguirsi di appalti e subappalti, in uffici sconvolti dal terremoto. Restano tre certezze: cinque lotti equivalgono a cinque collaudi, tutti regolarmente passati, e alle conseguenti cinque inaugurazioni. I collaudi degli ospedali non passano con poco, anche se in quegli anni L'Aquila era classificata zona di rischio di secondo livello, solo di recente è salita al primo. La parte che sta peggio è stata la prima ad essere inaugurata, sono i laboratori, poi la farmacia e il gruppo chirurgico. In effetti, il vero guaio sono proprio le sale operatorie che dovevano essere il cuore magnifico della struttura e che ora fanno parte dell'area considerata inagibile. Roberto Marzetti, il manager che la grana ospedale se la è trovata per la mani, al terzo giorno ha già ben chiara la situazione: «I controlli che abbiamo effettuato ci dicono che il 65-70% del complesso è recuperabile con poco. Una parte con lavori assolutamente semplici, come la pulizia e la rimozione delle controsoffittature staccate per lo scuotimento. Per altre sistemazioni, come i tramezzi spaccati, ci vorranno tre o quattro settimane. Poi tutto sarà a posto. Questo significa che le strutture in cemento armato hanno retto. Con il Ministro e il Commissario — prosegue Marzetti — abbiamo concordato una linea d'azione. Finché le scosse proseguiranno continueremo a utilizzare l'ospedale da campo, ma saremo in grado di collocare la diagnostica, i laboratori, i trattamenti radioterapici e chemioterapici, gli ambulatori all'interno del San Salvatore. Questo potrebbe essere possibile già in una ventina di giorni. Gli aquilani devono capire che il loro ospedale c'è e funziona». Non si tira indietro Marzetti, quando si parla di danni: «Non ce li aspettavamo, questo è sicuro, io non sono un tecnico, ma dico che si tratta di una cosa veramente inattesa. E di cui ci siamo resi completamente conto alle prime luci dell'alba. Abbiamo attivato un'evacuazione precauzionale che è filata liscia come l'olio, con estrema fluidità ed anche questo è un elemento da non sottovalutare. Abbiamo dato dimostrazione di poter affrontare l'emergenza con grande competenza e di questo va dato atto al personale tutto». Che in molti casi è personalmente colpito dal terremoto: «Senza fare casi personali le dico — risponde Marzetti — che alcuni primari sono andati a verificare lo stato delle proprie abitazioni e le condizioni dei loro familiari, solamente nel pomeriggio di ieri. A più di ventiquattro ore dal disastro».

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