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Niente timidezza per il Pdl, appoggi subito il referendum

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indiscutibilmentenotevoli a patto che vengano compiutamente espresse, ha davanti a sé due prove alle quali non si può sottrarre. Avendo rivendicato una «vocazione maggioritaria» ed incline a rafforzare il bipolarismo fino a vederlo evolvere in bipartitismo, coerentemente non può che assumere una decisa iniziativa di aperta adesione all'imminente referendum elettorale ed attivarsi perché esso venga celebrato insieme con il voto per le europee e le amministrative di giugno. Se dovesse sfuggire a questo appuntamento, venendo meno a tutto ciò che nel congresso è stato detto, ma ancor più a quanto è chiaramente scritto nella storia dei soggetti che nel nuovo partito si ritrovano, il Pdl fallirebbe il primo appuntamento, a suo modo «storico», creando divisioni, dissapori, diffidenze al proprio interno che certamente ne minerebbero la credibilità che l'evento mediatico ha contribuito ad esaltare nei giorni scorsi. Non c'è motivo, a parte quello (insufficiente) di non urtare la suscettibilità della Lega, perché il Pdl non si schieri convintamente con i referendari nella certezza, tutt'altro che irrilevante, di contribuire all'ulteriore semplificazione del sistema e allo sviluppo della democrazia dell'alternanza. Ma anche per evitare uno «scandalo» che di questi tempi non accrescerebbe la popolarità del governo. Se, infatti, si dovesse votare in una data che non consentirebbe il raggiungimento del quorum, come potrebbe essere giustificata un'inutile e dannosa spesa di oltre quattrocento milioni di euro? L'election day risolverebbe tutti problemi ed il Pdl ne uscirebbe rafforzato nel merito e nell'immagine. Buttare alle ortiche un'occasione del genere sarebbe quantomeno miope. E miopia, inoltre, dimostrerebbe il nuovo soggetto se fin da subito non si attrezzasse per riprendere quel discorso più volte interrotto sulle riforme costituzionali. Berlusconi ne ha parlato, ha rivendicato più poteri per il premier, ha invocato una robusta rivisitazione dei regolamenti parlamentari. Ma non è andato oltre, mentre ci si attendeva che formulasse ipotesi praticabili sull'apertura di una vera e propria «stagione costituente» e chiarisse in che forma dovrebbe essere bilanciato il rapporto tra esecutivo e legislativo. Dopo le «aperture» dei giorni scorsi, qualcuno si aspettava anche che precisasse i contorni del suo presidenzialismo, magari ricordando che undici anni fa si fu vicini a questo traguardo, ritenuto irraggiungibile, nel contesto della Bicamerale presieduta da D'Alema. Il leader del Pdl non ha ritenuto di intrattenersi su tale complessa e magmatica materia e, dunque, il riformismo del centrodestra rimane, al momento, un'aspirazione che nessuno può dire se, come e quando si concretizzerà. Referendum e riforme, comunque, non possono essere lasciati nei cassetti per non alterare gli equilibri. Una maggioranza sensibile a queste tematiche, iscritte peraltro nel codice genetico del nuovo partito nel quale essa si riconosce, ha il dovere di metterle in cima alla sua agenda politica ed agire di conseguenza. Il Pdl avrà un avvenire se vincerà timidezze e tentazioni impolitiche, appagandosi di ciò che ha realizzato finora, vale a dire l'unione tra forze diverse. Soltanto procedendo lungo la strada di un riformismo possibile, percorrendo magari anche sentieri avventurosi, si caratterizzerà come autentico motore del cambiamento. Gennaro Malgieri

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