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Fini: adesso faremo le riforme

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Berlusconi: "Partiamo subito"

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Non è proprio un «finimondo» ma qualche scossone lo dà. Gianfranco Fini parla nel giorno numero due del congresso che sancisce la nascita del Pdl, il «suo» giorno, dopo l'apertura affidata a Berlusconi, e dal palco della Fiera di Roma in quasi un'ora di discorso racconta l'Italia e il partito che ha in testa. Il futuro per il quale bisognerà lavorare. Che, in molte cose, si sovrappone all'idea di Berlusconi ma, in altre, come ad esempio la legge sul testamento biologico, prende decisamente un'altra strada. La platea gli dispensa comunque applausi e sventolii di bandiere e un lungo, lunghissimo «Fini, Fini» quando sale sulla pedana per parlare che quasi imbarazza l'ex leader di An. Se Berlusconi, il giorno prima, aveva parlato ai «cuori» del Pdl, alla «pancia» degli elettori, Fini scalda invece le menti. Accende il dibattito «perché in un partito come il nostro bisogna saper dibattere e confrontarci anche su posizioni diverse all'interno però di valori condivisi», spiega e lancia la stagione delle riforme «perché il nostro assetto istituzionale deve uscire da una stagione troppo lunga di transizione», ringrazia Berlusconi «per aver creduto al Pdl quando era difficile crederci». Però lo avverte che oltre agli onori avrà anche un onere, quello che «il Pdl sia un grande partito democratico e di popolo ma non diviso in correnti che invece sono la caricatura della democrazia». Il premier, seduto in prima fila accanto alla compagna del presidente della Camera, Elisabetta Tulliani, lo ascolta senza perdere una parola. Per rilanciare le riforme istituzionali — il tema sul quale ha ricevuto consensi che arrivano fino ai leader della sinistra radicale — spiega che «le due grandi necessità di ogni democrazia sono di essere rappresentativa e governante». «Non bisogna solo discutere — continua — ma anche decidere. Per questo dobbiamo rilanciare una grande stagione costituente, dobbiamo riformare i regolamenti parlamentari e sfidare su questo terreno la capacità della sinistra di guardare in avanti». Ma è sui temi più caldi del momento, immigrazione, biotestamento, referendum elettorale che Fini accende il dibattito. Ragionando, spiegando, rilanciando idee che a volte cozzano con quelle di alleati e colleghi di partito. Come sulla legge sul testamento biologico. Per arrivare al punto che più gli sta a cuore, e che arriva come una sassata in platea, Fini parte da lontano dal concetto di laicità dello Stato. «Non c'è contraddizione — dice — tra il riconoscimento delle radici cristiane e la richiesta di istituzioni laiche, perché la laicità è innanzitutto separazione delle due sfere, come è ben chiaro ai cattolici più avveduti, e spero di non offendere nessuno». Poi il presidente della Camera arriva al cuore del suo ragionamento: «E allora siamo proprio sicuri che il testamento biologico approvato al Senato sia per davvero laicità? Perché quando si impone un precetto per legge, si è più vicini ad una concezione da Stato etico che da Stato laico». Gli applausi stavolta sono pochi, timidi. In compenso c'è un grande incrociarsi di sguardi interroganti. E Fini sembra quasi cogliere i dubbi che salgono dalla sala: «So perfettamente che è una posizione minoritaria — spiega — una posizione che va compresa all'interno delle altre per fare un partito non solo plurale, ma un partito di contenuti, che si interroga. Dobbiamo abituarci su alcune grandi questioni a trovarci anche in minoranza». E se la domanda fa sobbalzare i cattolici di Forza Italia, tutti schierati con Sacconi, Fini costringe il Pdl a riflettere anche su un altro tema, quello del referendum elettorale, consultazione sulla quale la Lega resta contraria. «Non so se siano maturi i tempi, se ci siano le condizioni per il bipartitismo — dice — ma il Pdl può mettere nel suo dibattito interno la decisione su come comportarsi in quel referendum. Anche se questo comporterà la necessità di discutere, tra noi, e anche con gli alleati». E sempre agli alleati, per spegnere possibili degenerazioni xenofobe, si rivolge il presidente della Camera quando parla di immigrazione. «Sono sempre di più gli italiani di colore, con i tratti orientali. Non dobbiamo guardare a questa prospettiva con paura ma con la presunzione di poter governare questo processo. Non dimentichiamoci che siamo un popolo figlio di emigranti». E prosegue ancora su un tema «bollente», quello che consente ai medici di denunciare gli immigrati clandestini che vogliono essere curati. «Il centro di ogni azione deve essere la dignità della persona. Un ammalato è prima di tutto un ammalato, poi un immigrato. Dobbiamo riflettere nel partito per dare qualche suggerimento al governo sulle norme che regolano le nuove cittadinanze». Argomenti pesanti, destinati ad accendere il dibattito e sui quali Fini non si tira indietro. Come presidente della Camera ma anche, ormai, come leader del nuovo Pdl accanto a Berlusconi. Una consacrazione sancita dall'abbraccio che il premier gli tributa salendo sul palco mentre le note dell'Inno alla Gioia si trasformano in quelle dell'Inno di Mameli. Standing ovation.

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