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Di Segni: "Un gesto opportuno"

Il capo Rabbino della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Di Segni

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Una dichiarazione che, oltre a distendere i rapporti tra Santa Sede e le comunità ebraiche, ha riaperto il dialogo anche con il capo Rabbino della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Di Segni. Di Segni, oggi (ieri per chi legge, ndr) il Papa ha sostenuto che l'Olocausto è stato un crimine «contro Dio e l'umanità». Si può considerare questo gesto sufficiente per chiudere l'incidente causato dalle tesi negazioniste del monsignor Williamson? «È stato un intervento necessario e opportuno che Benedetto XVI ha sentito di fare per ricucire uno strappo che purtroppo si è creato in questi ultimi giorni. Non potevamo accettare che la Chiesa Cattolica non si esprimesse o addirittura tollerasse simili affermazioni, né tantomeno che il Papa avesse tolto la scomunica a un uomo come Williamson che ha negato l'esistenza delle camere a gas e ha ridotto a 300.000 il numero degli ebrei uccisi. Un intervento comunque non innovativo sul piano dei rapporti tra il Papa e la comunità ebraica dato che già tre anni fa Benedetto XVI, ricevendomi, aveva condannato la Shoah riaffermando la volontà di collaborare».   Non le sembra interessante che la vicenda si sia chiusa proprio nella settimana in cui gli ebrei leggono i testi relativi ai dieci comandamenti, ovvero le tavole della legge che i cristiani hanno in comune con gli ebrei? «L'uso del simbolismo è una cosa delicata. Non dimentichiamo che le tavole della legge sono anche il segno della rottura teologica tra le due religioni. E se poi volessimo dirla tutta, come dovremmo leggere simbolicamente il fatto che Williamson ha negato l'Olocausto proprio nel giorno della Memoria?».   Benedetto XVI ha comunicato che è pronto per andare a Gerusalemme. Pensa che sia un ulteriore gesto per rinsaldare il rapporti tra le due religioni? «Il Papa andrà a Gerusalemme in una duplice veste. Quella di capo di Stato e quella di massimo esponente del cattolicesimo. Non so cosa succederà, anche se spero che possa diventare un momento importante. Ci sono stati altri due papi a Gerusalemme e le conseguenze di quei viaggi furono una l'opposto dell'altra.   Fa riferimento a Paolo VI e a Giovanni Paolo II? «Sì. Paolo VI, nel 1964, fu il primo Papa a mettere piede in Terra Santa. Purtroppo il suo contributo alla causa fu inesistente, non riconobbe nulla agli ebrei. Non vorrei esagerare ma mi sembrò quasi una dichiarazione di guerra. Di tutto altro stampo il viaggio, nell'anno giubilare del 2000, di Giovanni Paolo II, che ebbe grande rispetto e fu visibilmente felice di riabbracciare quelli che definì i "fratelli maggiori". Confido che Benedetto XVI si faccia ben consigliare».   Crede forse che abbia cattivi consiglieri? «Non ho detto questo. Io ho detto che spero sappiano consigliarlo bene».

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