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Berlusconi: in gioco il nostro ruolo

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Decreto sul quale vi erano forti perplessità anche all'interno del governo. E non sono circoscrivibili a Stefania Prestigiacomo che peraltro resi anche pubblici. Ma a quel punto Berlusconi decide di indossare l'elmetto e di andare allo scontro armato. Forte anche del fatto che la sua battaglia va oltre i confini del suo partito, raccoglie consensi anche dalle parti di Pier Ferdinando Casini che lo ha chiamato in mattinata incitandolo nella battaglia. In effetti la missiva del Quirinale è irrituale. O comunque così la coglie il presidente del Consiglio. Il ragionamento che viene fatto nella riunione di governo è chiaro: il presidente della Repubblica è chiamato ad esprimersi su decreti approvati, non prima che vengano vagliati. Si apre il dibattito. Il premier fa capire subito chiaro e tondo che vuole andare fino in fondo. Accettare quella lettera e non approvare il testo significherebbe di fatto ammettere di essere sotto tutela del Quirinale. Intervengono gli altri ministri. Si vola alto. Si discetta su vita e salute. Ma anche della possibilità che si apra un conflitto istituzionale. Poi alla fine la decisione di mettersi tutti l'elmetto e andare alla guerra. Perché non si può consentire che non si provi neppure a evitare la morte di una ragazza, come dirà la ministra più giovane, Giorgia Meloni, appena qualche anno di meno di Eluana. Si arriva al voto, la Prestigiacomo fa capire che preferirebbe non votare. Berlusconi le risponde garbatamente che non è possibile. Se si va alla guerra non sono consentite defenzioni: Stefania vota. Che sia decreto, insomma. Berlusconi a scende in sala stampa e usa parole di fuoco. «Non possiamo far ricadere su di noi la responsabilità della morte di Eluana». E ancora: «Mi sentirei responsabile per omissione di soccorso nei confronti di un persona in pericolo di vita». Se non si fosse approvato il decreto «avremmo trasferito la responsabilità legislativa da un organo governo ad un altro organo: e quindi è chiaro che non era possibile accettare una situazione di questo genere». Parla infastidito della lettera del Colle che considera una «innovazione»: «Se non ci fosse la possibilità di ricorrervi tornerei dal popolo a chiedere il cambiamento della Costituzione e del governo». Mette le mani avanti nel caso di non firma del Capo dello Stato: «Se il Capo dello stato, caricandosi di questa responsabilità nei confronti di una vita, perseverasse nella sua decisone di non firmare questo decreto legge, noi inviteremmo immediatamente il Parlamento a riunirsi per approvare in due o tre giorni una legge». Quindi entra nel caso specifico. E dice di essersi convinto a intervenire dopo aver letto il libro di Salvatore Crisafulli, che si trovava in una condizione analoga a quella della Englaro e si è risvegliato. Parla di Eluana come di una ragazza «che potrebbe anche in ipotesi generare un figlio». Resta ancora un po' a Palazzo Chigi e poi va a Palazzo Grazioli, dove riceverà tra gli altri Cicchitto e Bocchino. Con loro si sfogherà ancora per quella lettera del Quirinale. Chi lo sentirà più tardi riferirà che Berlusconi «è anche preoccupato per l'isolamento nel quale s'è cacciato Fini. I suoi in consiglio dei ministri hanno tutti votato, nessuno ha nemmeno espresso una perplessità». F. d. O.

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