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Ma il Quirinale sogna ancora il «ricambio totale»

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Il «commissario» Enrico Morando. Un filo che porta dritto dritto al Quirinale. Nessuno lo dice apertamente, ma è indubbio che il presidente della Repubblica segua da vicino la «guerra» di Napoli. Da spettatore in prima fila. Dopotutto era stato proprio lui, quattro giorni fa, a ribadire «la necessità di un nuovo costume dei partiti e delle forze politiche che risponda davvero all'interesse pubblico». Parole che molti avevano letto come l'auspicio di un radicale rinnovamento. Rinnovamento che, però, non è arrivato. Rosa Russo Iervolino (nel '96 venne eletta deputata nel collegio di Bagnoli ereditato da Napolitano che due anni più tardi le lasciò anche il Viminale) ha scelto la strada meno impegnativa e, forte di un accordo con una parte del Pd locale, si è limitata ad una restaurazione della facciata. Così è partita l'offensiva. Anzitutto le dimissioni di Nicolais. Non un uomo qualunque, ma uno degli esponenti del Pd più vicini al Capo dello Stato. Al punto che, quando era ministro, il suo vicecapo della segreteria era un tale Ivano Russo, classe 1978, oggi direttore della Fondazione Mezzogiorno Europa (nata nel 2000 per volontà di Napolitano e Andrea Geremicca ndr) e già collaboratore del Presidente della Repubblica quando era parlamentare europeo. Insomma verrebbe da dire che si tratta un chiaro segnale che il Colle non ha gradito le mosse di Rosetta. Ma siccome Napolitano non è certo uomo da lasciare la «sua» Napoli nella mani di Iervolino e Bassolino, ecco il secondo pezzo del puzzle. Walter Veltroni nomina commissario del partito in città Enrico Morando. Anche qui la scelta non sembra essere casuale. Morando è il leader della corrente liberal del Pd, naturale evoluzione dei miglioristi di Napolitano, Chiaramonte e Macaluso. Corrente che raccoglie, tra gli altri, un altro «figlioccio» di Napolitano: Umberto Ranieri. Per capirsi circa un anno fa, quando la Fondazione della Camera promosse una giornata di riflessione per ricordare Giorgio Amendola (padre del pensiero migliorista ndr) nel centenario della nascita, tra i relatori facevano bella mostra di sé, oltre a Veltroni e Fassino, Morando e Ranieri. O ancora, negli anni del governo Prodi, non erano inusuali gli incontri ufficiali tra il Capo dello Stato e Morando a quel tempo presidente della commissione Bilancio del Senato. Insomma, il feeling tra il Colle e l'attuale commissario del Pd a Napoli non è un segreto tanto che, un deputato democratico, dietro promessa di anonimato, racconta: «Erano due i nomi in lizza. Ranieri e Morando. Ma il primo è nato a Napoli ed è già stato segretario della federazione cittadina del Pci». Così la scelta di Veltroni è caduta naturalmente sul secondo che ora dovrà recarsi in Campania con un unico obiettivo: azzerare la struttura locale del partito. Dopotutto Morando ha dalla sua anche il curriculum visto che è sempre stato un oppositore del «bassolinismo» tanto che nel 2000, mentre il centrosinistra si divideva sulla ricandidatura di Bassolino alla Regione, lui avvertiva: «Nel sistema politico attuale il rischio di personalizzazione c'è». Otto anni dopo è proprio quella «personalizzazione» che Morando deve combattere. Con la benedizione di Napolitano.

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