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Se l'Inquisizione Togata prende fischi per fiaschi

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Reso ancor più saldo dall'aver studiato Benedetto Croce, mi consento alcuni cinici ossimori, salutari, tuttavia, per diradare il conformismo del circo mediatico-giudiziario. Quando, oggi, certuni innocenti escono di galera dopo trent'anni o altri, più fortunati, dopo quindici, perché Santa Inquisizione Togata s'è finalmente accorta d'aver preso fischi per fiaschi in tutti e tre i gradi di giudizio, mi riesce difficile sottoscrivere il malloppo consegnato alla stampa dai pm napoletani, con il consueto corollario di intercettazioni sui giornali e su Internet. Quando il collega Giancarlo Pittelli è costretto a chiedere le dimissioni da parlamentare, lui che è stato da tempo archiviato, per potersi difendere dai rumori mediatici di Santoro e De Magistris; quando cotesto pm, di contro ai normali cittadini, può disporre dell'attenzione quotidiana dei colleghi, tirando in ballo l'universo mondo, financo il presidente Napolitano; quando il valente on. Mario Landolfi deve rinunciare al posto di ministro o di presidente di commissione, perché da tempo impiccato ad un'accusa che non sta in piedi e neppure seduta; quando il sottosegretario Nicola Cosentino, incensurato e neppure indagato, si vede massacrare a mezzo stampa con verbali inconsistenti e datati 1995, chissà perché, adesso, rinverditi; quando, infine, tutti vedono che, senza «pentiti» e intercettazioni, questa magistratura non si raccapezza mai o fa scempio dell'Habeas Corpus come nel caso del babbo dei fratellini di Gravina; ebbene, allora vien da borbottare che, nell'inchiesta a carico di Alfredo Romeo, non esiste congruità alcuna tra lo stridente boato mediatico e la tessitura probatoria, visto che, al momento, non v'è traccia di passaggi di denaro, bensì soltanto di chiacchierate di stampo lobbistico. Negli Usa è cosa normale e legale, da noi perché dovrebbe ascendere addirittura a diabolico «sistema Romeo»?  Alla fin fine, viene da porsi un dilemma strano e sconvolgente: per chiudere la questione meridionale sarebbero meglio uno, dieci, cento Romeo, imprenditori che creano, senza corruzione ma lobbisticamente, posti di lavoro, ricchezza e tecnologie di primo livello; oppure uno, dieci, cento di quei pm, i quali spendono e spandono i soldi di Pantalone, sparando inchieste roboanti e demonizzanti, con l'unico risultato di vedersele archiviate, dopo aver seminato panico, perché carenti, infondate, inconsistenti, poco o nulla riscontrate? Chi ripagherà il male fatto a Barbara Palombelli esposta al fango schizzatole addosso da intercettazioni subito date in pasto alla morbosa ferocia mediatica, ma che i magistrati emeriti non s'erano affatti curati di riscontrare, evitando, così, devastanti scambi di persona? Siamo ancora a si scrive «Tortona», ma si può leggere «Tortora»? Se un indagato dichiara che il procuratore Lepore raccomandò qualcuno a Romeo, certo può mentire pro domo sua, ma perché mai il magistrato non si limita a negare, aggiungendo, invece, scene a colori di complotti e delegittimazioni? Io, deputato della Campania, meridionalista e fautore della nuova regione che amo chiamare «Lucania Magna» (Basilicata più la provincia di Salerno affrancata in tutti i sensi da Napoli), tra Romeo e i pm che non riscontrano, mi schiero a favore dell'opzione più paradossale e, come avrebbe suggerito Croce, dico alto e forte: meglio uno, dieci, cento Alfredo Romeo. La religione della libertà impone di chiedersi se la vera questione politico-morale non riguardi gli eversori che, mascherati da «onesti», sfruttano i boati giudiziari ancora tutti da verificare, al solo scopo di ridurre a bivacco di manipoli o a caserme di polizia le aule di Montecitorio e Palazzo Madama.  

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