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L'ultimo appaltone di Veltroni

Veltroni

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Nel 2006 la Giunta guidata da Walter Veltroni ha dato il via libera al cosiddetto maxiappalto: 600 milioni di euro per la manutenzione stradale di Roma affidata a Romeo Gestioni spa. Nel 2008 il nuovo sindaco, Gianni Alemanno, ha revocato il contratto. Entrambi hanno avuto buone ragioni. Secondo gli stessi «ideologi» del decantato Modello Roma la Capitale di Walter Veltroni ha vinto sfide di grande respiro. Dalla cultura al turismo, fino al Pil e al tasso d'occupazione, ha raggiunto la vetta del Belpaese. Ma sulla città «di terra», quella di cui le buche sono da sempre un simbolo, non è stata la stessa cosa. Si sapeva anche allora. Serviva una scossa per mostrare ai romani che era possibile battere anche le buche. Allo stesso tempo serviva un modo più semplice e rapido di affidare gli appalti della manutenzione stradale. Fu così che si arrivò a decidere di preparare un maxiappalto, quello poi vinto dalla Romeo. Il senso era chiaro: addio alle mille commesse, alle ditte degli «amici», alle richieste avanzate dai politici. Addio ai tempi lunghi, alle procedure farraginose, ai lavori assegnati al massimo ribasso, ai cantieri infiniti. Veltroni ha da sempre un'ossessione: il tempo. Non ne può perdere. Maxiappalto, nella visione della sua Giunta, significava risparmio di tempo. Non è un caso che poco prima dell'assegnazione di quella mega commessa, di fronte alle proteste, il sindaco tagliò corto e «minacciò» di affidare la gestione degli appalti al prefetto. Ma decidere significa scontentare. Almeno in parte. Così la firma del contrattone scatenò la rivolta dell'opposizione di centrodestra e, soprattutto, dei costruttori. Benché all'epoca l'associazione degli imprenditori edili fosse vicina a Veltroni non digerì il rospo. Significava tagliare fuori tante piccole imprese romane, che si sarebbero potute aggiudicare i singoli contratti. Come si dice, l'interesse generale prima di tutto. Nessuna pressione riuscì a smuovere Veltroni, la questione sembrava chiusa. Finché è arrivata la campagna elettorale. È stato in quel momento, nei primi mesi del 2008, che Gianni Alemanno è riuscito a infilarsi nella «crepa» aperta proprio dal maxiappalto nei rapporti tra centrosinistra e costruttori. La presa di posizione dell'esponente del Pdl è sempre stata netta: no all'appaltone, sì a piccoli lotti da affidare alle microaziende della Capitale. «Se vinco le elezioni smonto il maxiappalto e affido i lavori alle nostre imprese» ha più volte ribadito l'ex ministro dell'Agricoltura. Un proposito che fece breccia soprattutto nel cuore della Federlazio, l'associazione guidata da Massimo Tabacchiera (oggi presidente dell'Atac) che proprio in quei mesi ruppe il fronte unitario della Camera di Commercio di Mondello, dicendo addio al veltronismo. Improbabile che Alemanno sospettasse qualcosa dell'inchiesta scoppiata in questi giorni. Ma sapeva bene che non c'erano altre chiavi d'accesso per giungere al "cuore" dei costruttori, così rilevanti nella crescita della Roma di Veltroni. Anche perché la qualità dei lavori della Romeo era sotto gli occhi di tutti: in un anno e mezzo realizzò solo il 10 per cento della manutenzione benché il Campidoglio avesse sborsato già 45 milioni. Nessuna questione d'interesse, dunque, soltanto politica. Tanto che ancora, nelle cene o negli incontri con gli imprenditori, Alemanno batte sullo stesso tasto: la divisione dell'appaltone in lotti. Appaltone che adesso, nel bel mezzo dell'inchiesta giudiziaria, nessuno vuole più neanche nominare. Soprattutto al telefono.

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