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Paolo Zappitelli [email protected] Piccole crepe. ...

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Protagonista, in negativo, molte volte è la Lega. Che ha bisogno, sempre e comunque, di tenere alta l'attenzione sul federalismo per non perdere i suoi elettori. Ma quando si parla del futuro Pdl a dare segnali di insofferenza è Alleanza Nazionale, visto che molti nel partito mal digeriscono l'idea di una divisione dei posti 70 a 30. E per restare in casa An c'è Gianfranco Fini che, da presidente della Camera, non perde occasione per distinguersi da quanto dice Berlusconi. È stato così in questi giorni quando il premier ha chiuso al dialogo con il Pd e il leader di An ha invece ripetuto che la porta del confronto va tenuta aperta. Ed è stato ancora più deciso il presidente della Camera quando ha parlato, a proposito del Cavaliere, di «cesarismo». Anche se poi ha negato di aver mai pronunciato quella parola. Insofferenze, malumori. Che a volte però sfociano in scambi di opinioni al vetriolo. Come quelle di questi ultimi giorni tra Bossi e Berlusconi. All'origine di tutto c'è la necessità assoluta, da parte della Lega, di tenere aperto il rapporto con il Pd per portare a casa la riforma del federalismo. Così, quando Berlusconi, come due giorni fa, ripete che «con questa opposizione che dice che in Italia c'è la dittatura, che mi paragona a Hitler non ci può essere dialogo», Bossi è costretto a intervenire. Qualche volta in maniera più sotterranea, riannodando pazientemente i fili con Veltroni, altre volte in maniera più plateale come è accaduto recentemente. E in futuro queste schermaglie sono destinate ad aumentare perché si avvicinano le elezioni europee e il Carroccio ha la necessità di tenere alta l'attenzione sull'unica riforma che gli interessa veramente, il federalismo. Su quella si gioca il suo futuro politico. Motivo per cui anche ieri Umberto Bossi ha rimproverato il Cavaliere per l'idea di voler cambiare da solo la giustizia. Dando però una giustificazione alla presa di posizione del premier: «A volte saltano i nervi quando ti sparano addosso tutti i giorni». Schermaglie, piccole crepe che i due leader si affrettano comunque sempre a richiudere. E ieri sera infatti Bossi e Berlusconi si sono sentiti al telefono. I toni? Come sempre in questi casi — hanno riportato i rispettivi uffici stampa — sono stati cordiali. L'altra perenne fonte di malumori dentro il Pdl è il comportamento dei ministri nei confronti dei gruppi parlamentari. E in particolare di un ministro, omaggiato da un odio estremamente bipartisan: Giulio Tremonti. Deputati e senatori gli rinfacciano un assoluto disinteresse rispetto a quello che si discute in aula e specialmente nelle commissioni e una altrettanta assoluta rigidità sulle sue decisioni. «Non fa altro che presentare decreti che dobbiamo approvare in 48 ore — si sfoga un parlamentare Pdl che vuole restare anonimo — In aula approviamo solo decreti, la nostra attività è praticamente nulla». Già, l'altro grande cruccio di deputati e senatori è proprio quello di non riuscire a presentare una propria proposta per l'«invadenza» dei ministri. Come quella di Renato Brunetta che sabato ha lanciato l'idea di una riforma previdenziale per mandare in pensione le donne a 65 anni. Idea che non è piaciuta alla Lega ma neppure al ministro Maurizio Sacconi, il quale tra l'altro è titolare proprio di questa materia. Sacconi, infatti, in questo momento non ha alcuna voglia di rompere l'accordo con i sindacati. E ha detto chiaro e tondo che la proposta non gli piace. Un'altra piccola crepa.

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