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Finisce a Napoli, passando per Firenze, Genova, Crotone, ...

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I «comitati d'affari», messi su da amministratori privi di scrupoli, hanno gestito, negli ultimi anni, in nome e per conto di una sinistra avida di potere e servile nei confronti delle sue clientele, fiumi di denaro, appalti faraonici, assunzioni inutili e dispendiose. Hanno elargito ciò che le giunte locali non potevano direttamente elargire, ma prelevando sempre dalle casse pubbliche risorse per opere che non avevano nessuna giustificazione. Grandi favori si sono impastati con richieste di consenso politico esplicito e perentorio, costruendo in tal modo un sistema di controllo e di ricatti da far impallidire perfino la storica Tangentopoli. Laddove gli sperperi sono stati maggiormente cospicui, più evidente si è manifestato il degrado civile. Napoli è la perla corrotta della mala amministrazione. In Campania la magistratura sta scavando nel fango scoprendo, tra le mille magagne orchestrate tra Palazzo San Giacomo e Palazzo Santa Lucia, eventi come le cene elettorali dei Ds pagate con i 250 mila euro che sarebbero stati estorti ai broker dal presidente del porto di Napoli finito sotto inchiesta. L'Espresso in edicola, sui cui orientamenti politici non è il caso di spendere neppure una parola, pubblica una dettagliatissima inchiesta che mette i brividi: la corruzione a sinistra, è la conclusione che se ne trae, è talmente gigantesca da non poter essere raccontata per intero; ci vorranno probabilmente anni perché il malaffare emerga in tutta la sua complessità e faccia capire come la politica sia stata un mezzo efficace e soddisfacente per illeciti arricchimenti e per finanziamenti impropri ai partiti nelle cui casse sono affluite ingenti somme. Che la «diversità» della sinistra fosse un mito, lo sapevamo da sempre. Da quando il Pci prendeva i soldi da una potenza straniera e nemica dell'Occidente e poi dall'utilizzo a dir poco spregiudicato del sistema delle cooperative nelle regioni rosse, fino alle oscure (e mai chiarite) trame nelle quali il Pds è rimasto impigliato al tempo di Tangentopoli. Ma non potevamo immaginare che giunte locali, come quella della regione Campania in particolare, arrivassero a costruire un labirinto di pericolose relazioni, di clientele spericolate, di avide consorterie, come sta venendo fuori dalle indagini giudiziarie, che si sono spartite il territorio mettendolo in ginocchio. Lo scandalo infinito dell'immondizia è annoverare in questo catalogo di perversioni politico-affaristiche che non può essere dimenticato soltanto perché il governo vi ha messo riparo. E certo non lo dimentica Veltroni il quale, consapevole della valanga che sta per travolgere il suo partito, ha perentoriamente chiesto a Bassolino di togliersi di mezzo. Lo avesse fatto durante la campagna elettorale, come molti si aspettavano, probabilmente la Campania avrebbe guadagnato tempo prezioso non dico per risorgere, ma quantomeno per cominciare a riassestarsi. Desta stupore ed inquietudine, di fronte a quanto sta venendo, il silenzio degli intellettuali partenopei che hanno corteggiato il principe asseverando, con profonde disamine, l'ambizione (rimasta tale) di promuovere un «rinascimento napoletano». Dove sono, che cosa fanno, si preparano a compiacere nuovi padroni, costruendo per loro, come hanno fatto con Bassolino, sofisticati scenari che dovrebbero incantare potenti e plebei? La sinistra è finita, si potrebbe dire parafrasando Prezzolini: ecco quel che resta. Ed è a dir poco deprimente. Da un lato gli scandali, dall'altro le pulsioni secessioniste nel Pd del Nord da parte di chi si rende conto dell'inadeguatezza di Veltroni e compagni a comprendere le trasformazioni in atto nella società italiana. Non è un bel vedere. Perché un pezzo consistente del Paese va in malora insieme con i lanzichenecchi che l'hanno depredato.

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