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Paolo Zappitelli [email protected] Il più veloce è ...

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E dalla possibilità di diventare la nuova direttrice de «La7». Sono 37 su 78 — quasi la metà — i nostri eurodeputati che in quattro anni hanno abbandonato il Parlamento europeo per tornare a fare a politica in Italia, sfruttando come lussuosi parcheggi le aule di Strasburgo e Bruxelles. Un numero enorme, patologico, se si pensa che la Francia, che viene subito dopo di noi, ne ha cambiati solo 11. Un vizio tutto italiano che ci fa perdere posizioni in Europa e ci taglia fuori dai posti che contano dell'europarlamento. E quindi dalla possibilità di farci ascoltare. «Un caso su tutti è quello delle quote latte — spiega Cristiana Muscardini, europarlamentare di An iscritta al gruppo Uen — Abbiamo sbagliato clamorosamente a calcolarle ma abbiamo pagato anche il fatto di essere poco presenti nei luoghi dove si decide». Per la politica italiana il seggio a Bruxelles è sempre stato un parcheggio di lusso per illustri «trombati» o una pensione dorata per chi è a fine carriera. Sempre però con la prospettiva di tornare in Italia appena si presenta l'occasione. Basta scorrere l'elenco degli entranti e degli uscenti a Bruxelles per capire come ogni elezione apra un vortice di dimissioni e nuovi arrivi. Con una logica rigorosamente bipartisan. Con le politiche del 2006 vinte da Prodi, hanno lasciato il seggio europeo per diventare ministri o parlamentari Pier Luigi Bersani, Fausto Bertinotti, Emma Bonino, Lorenzo Cesa, Paolo Cirino Pomicino, Massimo D'Alema, Antonio Di Pietro, Enrico Letta. A maggio di quest'anno, con la vittoria di Berlusconi, altra girandola di abbandoni: Nicola Zingaretti, Raffaele Lombardo, Antonio Tajani, Renato Brunetta, Mario Mantovani, Alessandra Mussolini. «Tutto questo viene visto dagli altri parlamentari europei in modo negativo — spiega Roberta Angelilli, esponente di An e al suo terzo mandato consecutivo a Bruxelles — Per riuscire a portare avanti un progetto devi legare con i colleghi degli altri Paesi. Ma ci vuole costanza, sistematicità. Oggi che siamo a 27 membri se non sei sempre presente non ti considera più nessuno». Con il risultato che nei posti chiave siedono sempre esponenti di altri Paesi. E questo non vale solo per i politici ma anche per i funzionari. «Negli anni passati — spiega ancora Cristiana Muscardini — il nostro governo non scelse persone in grado poi di fare strada nella burocrazia europea. Con il risultato che ora siamo in molti casi tagliati fuori dalle direzioni generali». Cioè i posti dove si prendono le decisioni che contano a livello finanziario e di interventi sugli Stati della Ue.

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