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"Non mi ricandido". Cofferati chiude la sua terza carriera

Cofferati

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Problemi personali, difficoltà nella maggioranza, scarso feeling con la città, la ricandidatura di Guazzaloca hanno contribuito al ritiro di Cofferati. Ciascuno di questi argomenti non sarebbe bastato da solo a motivare la rinuncia, anche se la ragione personale (moglie e figlio, piccolissimo, a Genova) è solidissima. Si conclude così la terza carriera di Cofferati. La prima, quella che gli ha dato fama e onori, è stata alla guida della Cgil. Cofferati è stato il leader dei riformisti del maggior sindacato italiano. Nel momento di maggiore difficoltà di Trentin, suo predecessore, lo difese a spada tratta quando il grande sindacalista morto un anno fa firmò un contestato accordo con il governo Amato sulla scala mobile. L'arrivo di Cofferati alla guida del sindacato segnò un cambio d'epoca. Una nuova generazione arrivava al potere e arrivava priva dei legami con il partito di appartenenza. Cofferati è stato un sindacalista scomodo. Uomo affabile, melomane, appassionato di Tex, era durissimo sia nelle trattative con la Confindustria sia nella gestione dei rapporti con il partito. D'Alema segretario dei Ds trovò in lui un osso durissimo nel tentativo di avviare una radicale riforma pensionistica. La seconda carriera di Cofferati inizia nel 2001, quando, ancora segretario della Cgil, si impegna direttamente nello scontro interno ai Ds, affranti dopo la sconfitta elettorale. Il mondo dei girotondi e del pacifismo italiano trova in lui il leader di riferimento. Cofferati riempie le piazze e le assemblee assistendo stupefatto e felice al culto della personalità che comincia a circondarlo. C'è di fronte a lui il rischio di provocare una scissione nella vita del suo partito e a quel punto si ferma, lasciando attoniti milioni di seguaci. Inizia così la terza, meno luminosa carriera a Bologna dove la sinistra tenta di riacchiappare il Comune strappato cinque anni prima da un outsider, Guazzaloca, nel passato vicino alla sinistra ma soprattutto bolognese doc. Cofferati vince ma non convince. Fa il sindaco con la mano ferma e nel giro di pochi mesi delude la sinistra radicale con cui aveva costruito la sua seconda carriera. Diventa la bestia nera di Rifondazione e del mondo no global con le sue prese di posizione securitarie che lo additano a primo sceriffo d'Italia. Il suo partito non lo ama. Nel partito Cofferati svolge un ruolo collaterale, disimpegnandosi dalle battaglie nazionali anche quando Veltroni, suo sponsor all'epoca del «correntone», diverrà leader. Giorno dopo giorno si consuma il rapporto fra Cofferati, la città e il suo partito. Si giunge così al finale d'opera che, a differenza degli acuti con si accompagna la fine dei melodrammi, si conclude con un sussurro, con quel «vado via» che molti a Bologna attendevano, molti temevano. Forse il nuovo Cofferati sarà parlamentare europeo, forse tornerà al lavoro in fabbrica come fece per qualche mese quando lasciò la segreteria della Cgil. Forse lo aspetteranno altre avventure. Forse, più semplicemente, l'uomo che ha fatto tremare D'Alema e Berlusconi ha concluso il suo itinerario politico e medita di passare la mezza età fra gli album di Tex, le romanze di Pavarotti e i bavaglini del suo bambino. Quello che muore sicuramente è il cofferatismo, quello strano impasto di politica e sindacalismo gestito con poca duttilità e molta mano dura. Lo si è visto negli ultimi mesi quando Epifani ha cercato di imitarlo nella vertenza Alitalia ma non ha avuto lo stesso coraggio, ovvero ha capito il rischio che correva, e dopo una serie di no si è adattato ad accettare la soluzione prospettata dal governo. La sconfitta di Cofferati riguarda tutte le anime della sinistra. Ha perso il Cofferati radicale che ha portato in campo un esercito, ma non è riuscito a guidarlo abbandonandolo nel pieno dell'assalto. Ha perso il Cofferati riformista che è stato sopraffatto dai girotondi e recuperata l'antica familiarità con la moderazione è stato fagocitato da Bologna. Sarò facile profeta se scrivo che nessuno lo rimpiangerà, per troppo amore e per troppo odio. Eppure il Cofferati che ora torna a casa è una metafora per molta gente di sinistra afflitta dalla tentazione riformista e dalla passione radicale e che, non riuscendo a combinare l'una con l'altra, coltiva l'idea tragica del ritiro.

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