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Piloti, i nuovi "Signor No" che difendono privilegi

Hostess e pilota, i due volti del dramma Alitalia

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Oggi sul banco degli imputati ci sono loro: i piloti. Una casta, una corporazione che ha sempre ostacolato il cambiamento. Ed è normale. Guadagnano come poche categorie nel mondo del lavoro dipendente. I dati ufficiali non esistono. Ma secondo Libero il giornale di Vittorio Feltri il comandante Fabio Berti, leader dell'Anpac, si è portato a casa 115.814 euro nel 2007. Un bel bottino. Che aumenta se si tiene conto che in virtù di una tassazione particolare che applica il prelievo fiscale come i normali contribuenti solo a una fetta del salario. Molte voci come l'indennità di volo sono interessate solo per il 50% della cifra dalle forbici dell'erario. Un bel vantaggio. Sconosciuto e impossibile alla quasi totalità dei lavoratori dipendenti. Ma, soldi a parte, in realtà i piloti sono assolutamente contrari a una qualunque forma di concessione ai 16 «capitani coraggiosi» della Cai perché, per anni, hanno rappresentato il vero motore decisionale delle scelte strategiche della compagnia di bandiera. Nessuna mossa o azione aziendale è stata possibile senza consultare le associazioni dei piloti. Un autentico potere di veto con il quale i dirigenti che si sono succeduti negli anni, e che non hanno brillato per saggezza gestionale certo, si sono dovuti confrontare e scendere a patti. Ed è su questo punto che si è interrotta la trattativa con la Cai. Secondo fonti vicine alla cordata il no sostanziale all'ingresso dei salvatori di Alitalia sarebbe arrivato su un solo e unico punto: nessuna concessione ai piloti di sedere all'interno del consiglio di amministrazione e dettare linee di sviluppo per la nuova società. Un problema insormontabile a cui gli imprenditori hanno cercato di rispondere con la proposta di una compartecipazione agli utili, un'aliquota pari al 6% dei profitti. L'offerta è stata rinviata al mittente. Segno che il vero problema era e resta la volontà di continuare a dettare le scelte di rilievo. Il pericolo di fallire insomma è passato in secondo piano per il sindacato autonomo che per anni ha rappresentato un contrappeso alla plancia di comando della compagnia di via della Magliana. Sarà anche per questo che in tempi di vacche grasse abbiano ottenuto privilegi e vantaggi. Così ad esempio i sindacalisti per svolgere il loro lavoro hanno la possibilità di volare meno dei loro colleghi. I piloti distaccati dell'Anpac hanno per norma espressa il divieto di volare più un certo numero di ore. Massimo sei giorni al mese sull'intercontinentale. Mentre gli stessi colleghi che non hanno incarichi sono costretti a stare alla cloche tra i 15 e i 18 giorni al mese. È il caso di Berti dell'Anpac. Mentre un maggior privilegio è concesso ai dirigenti sindacali che effettuano le rotte del medio raggio. Il numero due dell'Anpac devono volare solo 4 giorni al mese rispetto ai 19-20 giorni dei loro colleghi. Privilegi sedimentati nel dna di una compagnia che è stata affossata da tutti. E nel rimpallo delle responsabilità i piloti non si sono tirati indietro nella ricerca dei colpevoli del disastro. Il presidente dell'Anpac, Berti, ieri ha ricordato che «si sa bene che il problema di Alitalia non sono solo i piloti, ma ad esempio i 200 milioni di euro l'anno persi dal 2000 al 2008 per il collocamento di Malpensa senza regolare Linate, tutti gli sprechi, il fatto che Alitalia pagava i gestori aeroportuali cinque volte di più delle altre compagnie; si è scoperto che pagava un hangar che era utilizzato dalla Sea. Invece qui si stanno cercando delle responsabilità su problemi di governance che non ci sono mai stati».

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