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L'onda di Lehman Brothers si abbatte sul colosso Aig

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L'analisi del direttore area finanza di Banque Insinger, Patrizio Pazzaglia, è impietosa ma fotografa quello che sta accadendo sulle Borse. E non solo. L'effetto Lehman Brothers, la banca d'affari americana fallita lunedì a seguito della crisi dei mutui subprime si fa ancora sentire. La bufera finanziaria fa ora tremare l'American International Group (Aig), il colosso assicurativo statunitense numero uno al mondo, e la Goldman Sachs, la banca d'affari americana il cui utile trimestrale ha subito un fortissimo calo. La domanda che circola nella sale operative di tutto il mondo è la seguente: chi sarà la prossima vittima? Difficile dare una risposta perchè la lista dei candidati alla bancarotta si allunga di giorno in giorno. Timide speranze giungono dal possibile salvataggio di Aig per mano del governo Usa e la previsione di una nuova sforbiciata ai tassi d'interesse da parte della Federal Reserve (che ieri non li ha abbassati). Così i mercati finanziari hanno evitato il secondo collasso consecutivo dopo il «lunedì nero» scatenato dal crack di Lehman Brothers. Ipotesi queste che però hanno preso piede tra gli operatori soltanto in seguito all'apertura di Wall Street, ovvero quando i listini asiatici avevano già incassato duri colpi: Tokyo, che lunedì era rimasta chiusa per festività, ha dovuto digerire il tonfo d'inizio settimana, precipitando in un sol giorno sui minimi di tre anni (- 5%). Le Borse europee sono riuscite a limitare i danni ma il conto è stato comunque salato: l'indice paneuropeo Dj Stoxx 600 ha perso il 2,6%, scivolando sui minimi di maggio 2005. Peggiori tra tutti il tandem Londra (- 3,43%), Amsterdam (- 3,59%) mentre Parigi e Francoforte hanno ceduto rispettivamente l'1,96% e l'1,63 per cento. Piazza Affari ha seguito la scia negativa chiudendo in flessione del 2,7%. L'unica controcorrente è stata Madrid (+ 0,11%) grazie alle voci che indicano due banche, ovvero il Banco Popular Espanol (+ 5,6%) e il Banco Pastor (+ 4%), valutare un possibile matrimonio. Ma la sostanza non cambia. «È la fine di un modello - prosegue Pazzaglia - di una concezione ideologica liberale. Lo Stato interviene sul mercato a piacimento per salvare questa o quella banca. La Fed sconfessa la politica monetaria, studia un ribasso del costo del denaro per arginare la crisi. Le mani pubbliche sull'economia fanno e disfano in barba alle regole, senza rispetto per i risparmiatori». E allora ripartiamo dalla fine: Lehman Brothers. «Sono veramente deluso - spiega Pazzaglia - perchè sono sempre stato un convinto americano. Ma non è possibile assistere a interventi statali che condizionano il mercato. Nelle scorse settimane il salvataggio delle banche americane regionali e quello di Fannie Mae e Freddie Mac, le due agenzie semigovernative che possiedono o garantiscono insieme mutui per un valore di 5.000 miliardi di dollari, si può quantificare come il 5% del Pil americano. Nei periodi di guerra gli Stati Uniti sono intervenuti sull'economia con misure pari al 20% del Pil. Ora, inutie negarlo, siamo di fronte a una "guerra finanziaria" ma gli interventi sono stati calcolati in appena l'1% del Pil. Insomma, gli Usa avrebbero munizioni da sparare. Eppure agiscono pesantemente solo in alcune direzioni». Le falle del sistema finanziario sono evidenti e riconducibili a una scarsa regolamentazione. E la tempesta che si è scatenata minaccia i risparmiatori. «I bond di Lehman Brothers - conclude Pazzaglia - erano nel circuito Patti Chiari. Vale a dire avevano un rating A+ quindi incorporavano un basso rischio e un rendimento di poco superiore ai titoli governativi. I bilanci erano chiari, ma ora tutto è stravolto. Roba da Terzo Mondo». Le cifre che circolano sul mercato indicano tra il 60 e il 70 per cento la percentuale di recupero del denaro investito sulle obbligazioni senior di Lehman Brothers. E i rumors vedono in Unipol l'istituto italiano più coinvolto. Ma questi sembrano solo dettagli al termine di un crollo annunciato. Ciò che spaventa di più sono le regole dell'attuale sistema finanziario. Che non sono uguali per tutti.

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