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È l'umiltà l'arma dei repubblicani

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Il tasso di approvazione di Bush ridotto al 30 per cento, i problemi economici, la grande popolarità di Obama, da sempre «cocco» dei media, Senato e Camera in mano ai democratici, potrebbero far perdere le speranze a chiunque. «Però - aggiungeva - abbiamo già reazioni positive alla scelta di Sarah Palin come vice. E so una cosa con certezza: è difficile tornare dall'inferno, ma se un uomo può farlo, questo è John McCain» «Gli americani» diceva il generale Patton ai suoi soldati prima dello sbarco di Normandia, «detestano perdere. Per questo vinceremo». E a guardarli riuniti a St Paul, i delegati e i notabili repubblicani, mostravano davvero una determinazione e una coesione degna di una battaglia. Hanno applaudito e lanciato grida di approvazione, con quella capacità americana di unire lo spettacolo ai veri sentimenti, i principali protagonisti della storia del loro partito. Prima i video rievocativi di Abraham Lincoln e dei due presidenti che McCain indica come propri ispiratori, Teddy Roosevelt e Ronald Reagan. Poi, al suo arrivo accompagnato dalla moglie Barbara, George Bush padre, e poi George Bush figlio, in un video messaggio: «Mi dispiace di non essere lì con voi - dice il presidente, comunque molto applaudito - ma, avendovi mandato mia moglie, nel cambio ci avete guadagnato». L'ovazione ricevuta da Laura sembrava dargli ragione. E alla fine si sono scatenati per McCain, e non era scontato, perché nei suoi ventidue anni da senatore, fra di loro si era fatto tanti nemici. I vertici del partito, per la legge detta McCain-Feingold, approvata dopo anni di battaglie nel 2002, che limita le donazioni delle aziende ai partiti. La destra religiosa, per aver definito nel 2000 due dei suoi più noti esponenti «intolleranti estremisti». Il ricchissimo governatore del Massachusetts Romney, avversario per la nomination repubblicana, perché la mamma di McCain l'aveva associato a uno scandalo sulle Olimpiadi invernali di Salt Lake City per il solo fatto che i protagonisti erano mormoni come lui, che aveva definito McCain troppo vecchio per fare il presidente. E infine Bush figlio, fin dal durissimo scontro nelle primarie del 2000. Il miracolo dell'unità repubblicana è riuscito principalmente grazie alla incrollabile lealtà di McCain, quella stessa che l'ha spinto a rifiutare più volte la liberazione negli anni di prigionia e torture ad Hanoi. Bush non ha potuto dimenticare il sostegno del senatore dell'Arizona nelle sue campagne presidenziali e sull'aumento delle truppe in Iraq, che ora è un successo militare, ma all'inizio era fortemente impopolare. Romney conosce l'avversione di McCain agli attacchi personali e il temperamento e l'età di sua madre (96 anni!). La destra religiosa è estasiata dalla scelta dell'evangelica Sarah Palin. Il partito unito però non basta: i repubblicani come tali sono indietro di sette punti. Occorre conquistare voti dei democratici e degli indipendenti. McCain, da sempre un «Maverick» (che vuol dire «capo di bestiame non marchiato») al punto di essere stato ipotizzato come vice del democratico Al Gore, ci sta riuscendo. L'arma a sorpresa che l'eroe con un passato secondo a nessuno ha sfoderato nel suo discorso è l'umiltà, che a St Paul ho visto far versare lacrime a tanti: «Sono stato un servitore imperfetto del mio Paese. Ma sempre un servitore. Non mi candido perché penso di avere le qualità per salvare il Paese, ma per gratitudine al mio Paese che mi ha dato la benedizione di combattere al servizio di una causa più grande di me. E con l'aiuto di Dio combatterò fino al mio ultimo respiro».

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