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Giancarla Rondinelli [email protected] Vacanze ...

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Il tutto, però, buttando un occhio alla politica agostana, «alle varie battute da sotto l'ombrellone», e, soprattutto pensando alla fase di costruzione del Popolo della Libertà. Perché Carlo Giovanardi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, non ci sta ad essere considerato «un pesce piccolo» rispetto a Fi e An. E vuole a tutti i costi essere parte attiva del progetto Pdl «anche perché sono stato tra i primi a crederci fin dall'inizio, mica come tanti altri...» A chi si riferisce? «Beh, a Fini innanzitutto. E pure a Casini. Novembre 2007: convegno a Verona dei Popolari liberali. In quell'occasione chiedemmo a Silvio Berlusconi di realizzare una nuova iniziativa, un progetto dove ritrovarci tutti in una terra comune. Un secondo dopo il famoso "annuncio del predellino" noi aderimmo. Siamo stati gli unici ad averlo fatto. Portando tra l'altro una bella dote alle elezioni politiche: circa 800 mila voti, e non sono pochi». Lo dice perché teme che alla fine sarà solo una partita a due, Fi-An? «La fusione tra Forza Italia e Alleanza nazionale è un loro problema, a me non interessa. Per me l'importante è essere presente nella costituente del nuovo partito. Una volta fatto il Pdl ci organizzeremo a seconda della propria identità, come è giusto che sia». Quindi tutti assieme ma su binari diversi? «È impossibile pensare il contrario. Io posso stare insieme a Capezzone, anche perché su questioni come droga e famiglia, nel programma è passata la nostra linea. Ma da qui a dire che siamo la stessa cosa, no. Idem per la destra». E il leader chi sarà? È già cominciato il totonomine. «Tutta lana caprina. Il leader c'è ed è Berlusconi. Su quello che accadrà dopo, si vedrà. Intanto pensiamo a lavorare alla costruzione del partito. Si fa così ovunque, in ogni Paese che si rispetti. Persino con il Papa». In che senso? «Il paragone è un po' forzato, però, quando c'è un Papa, mica ipotizziamo chi sarà il suo successore. Ci si pensa al momento giusto». Rotondi apre a Casini per un ritorno dell'Udc nel Pdl. Che ne pensa? (Pausa di silenzio). «Guardi, sia io che Berlusconi abbiamo fatto le scuole dai salesiani, quindi abbiamo sviluppato un modus operandi di tipo pratico. Sin dall'inizio il Cavaliere ha detto: chi vuol venire con noi, lo faccia, è ben accolto. L'Udc ha scelto un'altra strada. I suoi elettori lo hanno votato, opponendosi a tutto quello che era il Pdl e Berlusconi. Spiegare loro un rientro nel partito che hanno sempre attaccato, beh... Lo trovo alquanto difficile». Quindi porte chiuse all'Udc? «Hanno scelto loro di stare fuori e di fare opposizione. Quindi... E poi, vogliamo parlare di Casini?» Parliamone. «Lui fa il bello e il cattivo tempo a seconda delle sue convenienze: sta con il centrodestra nelle regioni dove governa il centrodestra, e con il centrosinistra nelle altre. Non ha mai creduto in questo progetto. E ora dovremmo far finta di niente?». Non ricorda alcun pregio? «Sì, la sua coerenza. Almeno quella che aveva nel '94 quando abbiamo lavorato insieme. Poi, si è perso per strada. Abbiamo visto quanto sia stato controproducente governare con accanto persone che ti remano contro». Sta parlando di Follini? «Sì. E Casini, alla fine, ha agito pure peggio di Follini. Ancora oggi è misteriosa, e non solo a me, la dinamica che portato l'Udc ad essere un soggetto politico diverso da come era nato, cioè un partito di centrodestra. Arrivando a stringere accordi con Veltroni e, alle elezioni amministrative di Roma, schierandosi contro Alemanno». C'è chi dice che dietro le parole di Rotondi ci possa essere direttamente il presidente del Consiglio. «Non ci credo. Conosco la linearità di Berlusconi. Mi sembra tutto la classica boutade ferragostana. Posso dire una cosa?». Prego. «L'Udc è un partito che ha il 5%, ottenuto, tra l'altro, prendendo i voti della Margherita. Il Pdl ha quasi il 40%. Ci rendiamo conto di cosa si sta parlando?». Udc no. E la Destra di Storace-Santanchè? «Anche qui è problematico. Non mi sembra che Storace abbia intenzione di riconoscersi nel Pdl...». Cosa ne pensa della scelta di Amato come presidente della Commissione Attali? «Non sono d'accordo. È stato il ministro dell'Interno di un governo di centrosinistra. A due mesi dalle elezioni lo si mette a capo di una commissione che deve avere precisi orientamenti politici. Non mi sembra una scelta molto felice. La politica non è Pickwick!». Qualcuno pensava di vederla ai funerali di Antonio Gava. (Sospiro). «Ho parlato con la famiglia al telefono e ho espresso loro tutta la mia vicinanza. Che vicenda assurda quella di Gava. Una profonda anomalia pensata per colpire un intero partito. In tanti hanno subito l'umiliazione del carcere, una vera e propria fucilazione, senza alcuna motivazione reale». Famiglia Cristiana, nell'ultimo numero, accusa il governo italiano, e parla di "possibile ritorno di fascismo". «Considero Famiglia Cristiana, così come l'Unità e Liberazione, un giornale politico, fatto da veri militanti. Sono fazioni e falsi. Altro che cattocomunisti! Mi dispiace solo che venga diffuso nelle chiese». Chiudiamo con lei. Deluso di non essere diventato ministro? «No. Tra essere un ministro senza portafoglio e un sottosegretario alla presidenza del Consiglio, preferisco la seconda. Ho tre deleghe importanti: droga, famiglia e servizio civile. Rispetto a quando facevo il ministro il mio impegno, mi creda, è triplicato. La cosa importante è l'obiettivo e la costruzione di quella che è l'ala cristiana del Pdl». È vero che le piacerebbe finire la sua carriera politica arrivando all'Interno o alla Difesa? (Ride). «Sì, mi piacerebbe. È come dire ad un calciatore se spera di giocare in nazionale, o ad un cantante di poter cantare alla scala. Si vedrà».

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