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Lo sdegno del Colle «Sul lodo Alfano nessuna pressione»

Napolitano

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Fermiamoci. Prendiamoci «tutti una pausa di riflessione in vista della ripresa autunnale dell'attività parlamentare», chiede in tono severo ed accorato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Lo dice ai giornalisti parlamentari che, alla vigilia delle ferie estive, sono andati al Quirinale a regalargli il tradizionale ventaglio e gli hanno chiesto: che fine ha fatto il dialogo che sembrava la colonna sonora di questa legislatura? E che ne sarà delle riforme, in questo clima di contrapposizione? «È vero - risponde Napolitano - è sembrato questo il segno positivo quando il governo si è presentato alle Camere. Ma ora invece è divenuto palpabile il rischio che si ricada in un clima convulso di chiusura e di scontro nei rapporti politici e istituzionali. Non è ciò che il Paese vuole e si aspetta, non è quel che serve in una situazione complessa e difficile, che richiede innovazioni e riforme. Esse sono tanto più produttivamente perseguibili e attuabili quanto più si evita il muro contro muro nel Parlamento e nella società». Napolitano non nasconde lo stupore di fronte al plateale accantonamento di «punti di principio da tempo fuori discussione», né un certo risentimento per alcune critiche rivolte al suo operato. Io, dice, mi guardo bene dall'interferire nella dialettica politica e dall'assumere il ruolo improprio di co-legificatore. Io ho fornito al governo, «in questi due mesi», sulla sicurezza e sulla manovra economica, «rilievi formulati in modo obiettivo e nel comune interesse». «È prova di saggezza, da parte del governo, prestarvi attenzione», commenta. Per ricostruire le condizioni del dialogo, prosegue il capo dello Stato, con richiami se sembrano rivolti soprattutto a governo e maggioranza, si deve garantire innanzitutto un corretto rapporto governo-Parlamento, operando «senza precipitazioni e forzature». L'esecutivo «non deve abusare» dei decreti d'urgenza e dei voti di fiducia». Su questo Napolitano si affida «all'attenta vigilanza» dei presidenti del Senato e della Camera. Sulla sorte delle riforme istituzionali, il giudizio è netto: «Piaccia o non piaccia non c'è alternativa alla ricerca di larghe convergenze: l'alternativa è il nulla». In questo campo, l'esempio positivo riguarda il federalismo fiscale. Sulla giustizia, invece, la notte appare buia. Il presidente rivolge perciò «un forte auspicio» a superare le contrapposizioni irriducibili nate intorno al Lodo Alfano. Io, assicura, rifacendosi alle critiche che gli sono arivate da «L'Unità» e da alcuni settori del Pd, l'ho promulgato «indipendentemente da sollecitazioni in qualsiasi senso, facendo riferimento solo alla sentenza del 2004 della Corte Costituzionale». Anche su questo traspare l'amarezza del capo dello Stato per certe accuse che trova ingiuste e immotivate. Non è giusto, dice, «coinvolgere o chiamare in causa il presidente della Repubblica» per un ruolo politico che non ha e non che non svolge. «Si stia attenti a doverose distinzioni di posizioni e di ruoli» dice, ringraziando quella parte della stampa che «ha mostrato di intendere e apprezzare il modo in cui assolvo le mie responsabilità». In chiusura, Napolitano ha bacchettato chi, come Umberto Bossi e anche Beppe Grillo (nessuno dei due citati espressamente), «perde il senso della misura per scadere nella volgarità e nelle ingiurie», perché in questo modo viene meno al rispetto da tutti sempre dovuto alle istituzioni e ai simboli della Repubblica

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