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L'Unione per il Mediterraneo è una realtà. O quasi. La ...

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Non soltanto perché ha segnato l'avvicinamento tra Israele e l'Autorità palestinese, suggellato dal cordiale incontro tra Olmert e Abu Mazen, ma anche perché tutti, tanto i membri dell'Unione europea, quanto i rappresentanti delle nazioni del sud del Mediterraneo, hanno preso coscienza che soltanto attraverso più stretti rapporti politici, culturali, civili ed economici è possibile ridurre i rischi di conflitto nell'area e governare le crisi che vi possono insorgere. Il progetto di Sarkozy, ha preso dunque forma e sostanza ed inaugura con successo l'inizio della semestrale presidenza francese dell'Unione. Dall'Eliseo, poco dopo essere stato eletto, il dinamico presidente si rese conto che bisognava riprendere il processo di Barcellona come condizione indispensabile per ridare slancio alle relazioni euro-mediterranee. In una visione geo-strategica lungimirante, Sarkozy vede, infatti, e lo ha ripetuto più volte nel corso della sua trionfale cavalcata elettorale, nel dialogo tra l'Europa e i Paesi arabo-africani che si affacciano sul Mediterraneo, compresi la Turchia e quelli una volta facenti parte della Jugoslavia, l'elemento indispensabile e prioritario per assicurare la stabilità e raccogliere le sfide che vengono da altre aree del Pianeta. Non un sistema difensivo, sia chiaro, ma un "universo" aperto al confronto. Del resto il processo di Barcellona, avviato nel 1995, e poi malauguratamente arenatosi, trova nel tentativo sarkoziyano dell'Unione per il Mediterraneo la sua prosecuzione naturale. Infatti da esso non si prescinde poiché costituisce pur sempre un significativo tentativo di costituire per settecentocinquantamilioni di cittadini un fattore di pace, sicurezza e prosperità in una regione nella quale i progressi sono stati frenati dal perdurare della logica dello scontro (a cominciare da quello israelo-palestinese) e dall'inadeguatezza di procedere a riforme trasnazionali efficaci nel consolidare rapporti di buon vicinato. Sarkozy, nel rilanciare sostanzialmente il processo di Barcellona, ha rovesciato l'impostazione originaria per la quale il dialogo politico avrebbe dovuto essere il presupposto dello sviluppo economico. Tale logica, scontrandosi con la crisi mediorientale e con altre tensioni in regioni come quella algerino-marocchina è sempre all'ordine del giorno la questione del popolo saharawi), ha reso impossibile la realizzazione del progetto. E' così che il presidente francese ha immaginato che la costruzione economica potesse indurre ad una distensione politica tra tutte le parti interessate. La Commissione europea ha fatto sua l'impostazione di Sarkozy ed il responsabile per le relazioni estere, l'austriaca Benita Ferrero Waldner, nei mesi scorsi ha comunicato al Parlamento europeo e al Consiglio europeo che il processo di Barcellona sostanzialmente rinasceva, per impulso francese, su altre basi. Dal canto suo, Sarkozy, approfittando della visita a Rabat, il 23 ottobre dell'anno scorso, aveva parlato del progetto richiamandosi al modello fondativo dell'Europa comuinitaria: "Far lavorare insieme persone che si odiavano per abituarle a non odiarsi più". Sottolineando, nel contempo, non solo la centralità del Mediterraneo per l'Europa, ma anche il fatto che l'Europa si gioca il suo futuro nel Mediterraneo se vuole continuare a nutrire un progetto di civiltà. E ribadiva, al riguardo, la priorità della dimensione culturale del Mediterraneo come luogo del dialogo, precisando che la scelta stessa della parola "Unione", come Unione europea, che ha già ispirato l'Unione africana erede dell'OUA, abbia un evidente significato simbolico ed evocativo. Il Consiglio europeo ha recepito l'impostazione di Sarkozy pur se vi ha apportato alcune significative modifiche attuate dalla Commissione la quale ha ribadito la partecipazione di tutti e ventisette gli Stati dell'Ue e non solo di quelli rivieraschi: scelta questa sostenuta fortemente dalla Germania che ha così recuperato un ottimo rapporto con la Francia, scelta oltretutto che appare inclusiva ed unitaria dal momento che l'Europa non si può sottrarre alle sue responsabilità mediterrane, sviluppando il contenuto del processo di Barcellona. Del resto il Mediterraneo sarebbe debole senza l'Europa e l'Europa neanche potrebbe esistere senza il Mediterraneo. Immutato, poi, resta la tripartizione tra dialogo politico, cooperazione e scambio culturale. Mentre nuova è l'impostazione della dimensione dei progetti: le autostrade del mare, l'interconnessione dell'autostrada maghrebina, il disinquinamento marino, la protezione civile e la salvaguardia della sicurezza marittima, il varo del progetto solare mediterraneo come fonte energetica aggiuntiva e non alternativa a quelle tradizionali, l'istituzione di una banca euro-mediterranea come strumento per attivare scambi trasparenti. Le discussioni, nei prossimi mesi s'incentreranno sulla governance istituzionale dell'Unione per il Mediterraneo ed è prevedibile che non mancheranno tensioni. Alcune le ha già innescate il leader libico Gheddafi che si è rifiutato di partecipare al vertice di Parigi, sostenendo che non vuole un'Unione con capitale a Bruxelles, espropriatrice delle prerogative dell'Unione africana (al contrario, sarebbe di supporto alle esigenze dei Paesi più deboli del Continente) e sostanzialmente neo-colonialista. Il colonnello ha sostanzialmente riproposto i temi agitati nel corso del vertice di Tripoli del 10 giugno scorso, al quale, oltre alla Libia, parteciparono l'Algeria, la Siria, la Tunisia e la Mauritania: tutti hanno preso parte al summit parigino a dimostrazione dell'isolamento di Gheddafi che continua a comportarsi come se il tempo si fosse fermato nella sua sontuosa tenda nel deserto. C'è da attendersi dall'attivismo di Sarkozy un impegno crescente verso la realizzazione dell'ambizioso progetto. La condivisione che ha incontrato, del resto, fa ben sperare. Se perfino il leader siriano Assad è uscito rinfrancato dall'Eliseo, vuol dire che qualcosa nel Mediterraneo si sta muovendo. E per una volta sono venti di pace e non di guerra.

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