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Fini: ora la destra è nelle istituzioni

Fini e Berlusconi

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L'epoca di Gianfranco Fini è finita. Vent'anni guidando la destra. Rendendo un partito accessibile a tutti, mantenendo vivi gli stessi valori, sempre accesa la fiamma. Quando si avvicina al microfono per il suo ultimo intervento da presidente, nella sala del Summit Hotel di Roma, Fini ha davanti a se tutto il suo popolo. Tutta la sua militanza. Assessori, deputati, senatori, ministri e un sindaco di Roma. «Non siamo più figli di un dio minore. Abbiamo visto giusto. E abbiamo davvero vinto». Può dirlo Gianfranco Fini, ora che è ciò che nessun uomo di destra è mai stato: terza carica dello Stato, presidente della Camera. «Alleanza nazionale, nata nel '94, altro non è che il Pdl del 2008» si spinge a dire orgoglioso, con una rivendicazione doppia: interna alla destra e rivolta agli alleati. A Berlusconi e Bossi il leader di An riconosce infatti, «con serena consapevolezza, di aver avuto grande capacità e lungimiranza politica, di aver capito che era il momento di dar vita al Pdl per offrire un'opportunità all'Italia». Ma a chi nel tempo, e soprattutto nei giorni difficili del grande salto, del passaggio nel Pdl, lo accusava di aver liquidato spicciamente la storia di una comunità politica, Fini può rispondere con quel plurale maiestatis: «Abbiamo sentito ironie, cattiverie e malizie. Eppure avevamo visto giusto». Per il leader di An viene infatti da lontano il progetto politico che ha portato lui e An a occupare le posizioni più importanti d'Italia. La ricchezza di oggi viene da Fiuggi, dall'energia spesa nell'abbattere steccati intorno al recinto della destra. Una determinazione non sempre compresa dal partito. «E oggi (ieri, ndr) - si sfoga il leader di An - c'è un unico sassolino che mi tolgo dalle scarpe, un'unica puntura di spillo, un unico piccolo lusso che mi prendo: dire che la nostra gente ha capito la grande sfida del Pdl ben prima di una classe politica che ha compreso l'importanza del nuovo partito solo dopo aver avuto la certezza di un posto in lista o di un ruolo al governo». Ma Fini non vuole guastare più un giorno di festa. Quello che conta è che la destra abbia «vinto davvero». Che l'ultimo segretario missino sieda nel più alto scranno di Montecitorio. «E questo non significa solo che è finito il dopoguerra - rivendica - significa soprattutto che abbiamo ricomposto una frattura, superato un fossato. Avevamo l'obiettivo di far venir meno la nostra minorità e oggi non siamo più figli di un dio minore. Abbiamo riportato la destra al centro del dibattito politico e delle istituzioni». Tutto questo Fini offre alla memoria di chi non può partecipare alla gioia di oggi: Giorgio Almirante (nel ventennale della sua scomparsa), Pinuccio Tatarella e gli altri amici scomparsi nel tempo, che sono nel cuore di tutti. Ignazio La Russa raccoglie il testimone, accetta di guidare da reggente la transizione nel Popolo della libertà, affiancato dall'ufficio politico e da un nuovo esecutivo. «Saremo levatrici di un partito nuovo e non saremo ospiti in casa d'altri. È bene che tutti se lo mettano in testa». La fusione definitiva con gli azzurri di Silvio Berlusconi è a un passo. Fini fissa l'obiettivo dell'ultimo congresso di An entro i primi mesi del 2009 al massimo. Poi le porte vetrate dell'hotel si aprono al suo passaggio. Se ne va commosso, in silenzio. Da leader.

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