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E l'Uomo Destro

Campidoglio

conquista la piazza

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Ma l'altra non se ne dà per inteso, e quasi si fa arrotare da un bus, lì ai piedi della scalinata del Campidoglio. «No, nun me ne vojo annà mai più, sinnò svanisce 'st'atmosfera». E guarda rapita, con il naso all'insù, neanche fosse una bambina, quei palloncioni bianchi rossi e verdi, ancorati alle balaustre di marmo. Sotto quella leggerezza fatta d'elio, ecco legato in bella vista lo striscione pasquinesco, una beffa che pesa più del macigno delle percentuali. Tutti lo fotografano, nessuno vuole spostarsi da quel traguardo iperrealista. La scritta recita così: «Veltroni: con le primarie ha fatto cadere il governo Prodi; con le elezioni politiche ha cacciato i comunisti dal Parlamento; candidando Rutelli ha perso Roma. Walter santo subito». Sic transit gloria mundi. Per la sinistra bastonata la salita al Palazzo Senatorio è un Golgota. Basta sentire i cori dei tassisti, arrampicati lassù sulla scalea: «Veltroni in bici, Rutelli senza sella». Manca solo il pernacchio, ma l'occasione è più solenne che satirica, e il popolo della destra non sbraca. È tutto un estemporaneo juke box umano di Inni di Mameli, di slogan curvaroli scanditi fino all'autoipnosi, da «Alemanno sindaco di Roma» fino a «chi non salta comunista è», passando per un più controverso «Roma libera!», in un profluvio di abbracci, di oblique intimità e strusci criptoerotici fra pariolini e tufellari, fra nostalgici e speranzosi, fra aristomummie e giovani moralizzati: tutti sotterraneamente uniti dal codice genetico dell'Uomo Destro, che dopo aver vissuto per decenni la propria inclinazione politica con un vago senso di colpa, si prende una rivincita storica sul Radical Birignao, l'avversario antropomorfo che pensa a sinistra ma vive chic e che da sempre lo criminalizza e lo spiazza parlandogli di Filottete e Klimt. La piazza michelangiolesca batte come un diapason del tempo ritrovato, o mai conquistato. È l'allegro funerale del Buonista e del Piacione. Qualcuno infila un tricolore e una grande foto dell'eroe Gianni nella mano bronzea di Marc'Aurelio, qualcun altro impugna bandiere giallorosse, e per un giorno il simbolo da curva diventa metropolitano. Ci sono anche vessilli biancocelesti, certo: quelli del Popolo della Libertà e sopratutto quelli di Alleanza Nazionale, che sventolano nell'ora del paradosso. Fini che se ne va, il partito che confluisce nel truppone berlusconiano, proprio mentre Alemanno guadagna il governo cittadino. La politica, a volte, supera la realtà. Ma c'è un momento, subito dopo la presa del Palazzo, che la psicofesta della gente moderata cambia passo, e forse destino. Il sindaco in pectore si affaccia da una finestra della Sala delle Bandiere e benedice, ancora un po' interdetto e commosso, la sua folla. Poi prende un megafono ed esce sul balcone, mentre lì sotto impazza il battimani. E pronuncia, tra le cose che scatenano gli evviva e i clamori, una frase chiave. Dice: «Questa è una vittoria di tutta Roma. Farò in modo di essere il sindaco di tutta una città che sta cambiando. Basta con i veleni e gli schemi ideologici: volevano portarci indietro, noi andiamo verso il futuro. Tornate a casa, nei vostri quartieri e dite che una nuova storia è iniziata per Roma». C'è un silenzio ponderoso che dura un nanosecondo, poi il Nuovo si infiltra nell'anima dei fans. E parte l'applauso. Qualcuno piange, altri lanciano fumogeni. Alemanno innaffia il mondo di champagne, come Raikkonen dopo il Gran Premio. Sorridono la moglie Isabella Rauti e il figlio Manfredi, gongolano La Russa, Gasparri, Barbareschi (Barbareschi?), Selva, Cutrufo, Mussolini, mischiati ai tassinari, agli ultrà con lo striscione del Colle Oppio. Ci sono aficionados in trasferta: gruppi da Cosenza, da Bologna. Gli chiedi: ma quando siete partiti? Ti rispondono: «Giovedì». Viva la fiducia. In tanti sfoggiano la maglietta della vigilia: «Ballottaggio: Chi perde parte». Vero: le legioni della sinistra vip al mare, per tutti gli altri il viaggio della speranza era alle urne. Marco, della sezione Garbatella di Azione Giovani: «Finalmente una città con meno feste ma più valori: quelli di una tradizione che si impianta nella modernità, mica il fascismo. Anzi, questa parola non la voglio sentire neanche pronunciare». Ecco, appunto. Sotto l'Ara Coeli è un concerto di clacson: pare una notte mundial. Sul cruscotto di uno scooterone leggi: «Veltroni e Rutelli, tranquilli. Siete su Scherzi a parte». Più o meno.

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