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La sua è un'analisi lucida di chi vuole collocarsi al di sopra della mischia che si sta azzuffando per la tenzone elettorale. Prospetta una crisi economica drammatica, una sorta di «nuovo 1929» e accusa economisti e classe politica di «non aver capito cosa si sta preparando». Rifacendosi al suo libro, dice di aver già delineato, in tempi lontani dal clima elettorale, il pericolo della crisi economica mentre «la scorsa estate c'era chi parlava di semplice turbamento finanziario». «Qui invece - aggiunge - siamo di fronte a una crisi gravissima e strutturale». Non punta l'indice contro il governo Prodi come ci si sarebbe aspettati né si sofferma a declinare i punti cardine del programma del Pdl. Tremonti allarga lo sguardo e il tono è quello dell'arbitro, di chi si pone a guida di quanti hanno perso la stella polare, dagli economisti ai politici, forse troppo impantanati nella polemica elettorale. «Le vecchie cure - continua -, come le iniezioni di liquidità delle istituzioni finanziarie, non funzionano più, perché se la crisi è globale, la soluzione non può essere locale». E siccome la crisi è internazionale «non basta una soluzione tecnica ma occorre un intervento della politica». E quindi occorre fare come in America nel crollo dei mercati del '29 quando ci fu una soluzione politica. Che fare? Tremonti prospetta una «nuova Bretton Woods, un nuovo accordo politico-commerciale». Sottolinea che nel suo libro non parla mai di Italia ma di Europa e di scenari internazionali, come dire che il suo discorso vola alto e non ha niente a che vedere con la retorica della campagna elettorale. L'unico accenno al programma del Pdl lo fa quando replica a quanti lo hanno accusato di aver proposto una ricetta protezionistica per irrobustire l'economia: «Non ho parlato di dazi ma di regole e ci sono paesi e imprese che operano in assenza di regole». E poi: «Se l'Europa non vorrà essere spiazzata deve smettere di fare troppe regole che mirano a costruire il mercato perfetto e deve anche chiedere agli altri Paesi di rispettare gli standard. Ci vuole simmetria e questo non vuol dire essere contro il mercato». A giudizio di Tremonti quindi chiedere equilibrio «non ha niente a che vedere con il protezionismo». L'ex ministro nega l'ipotesi di larghe intese tra le due coalizioni come invece adombrato nel titolo che un quotidiano ha dato alla sua intervista. «C'è stata una forzatura del mio pensiero che non corrisponde al vero - spiega -. È vero che i programmi del Pdl e del Pd sono uguali semplicemente perché Veltroni ha copiato. Ma di qui a dire che questo è un segnale di larghe intese ce ne vuole». Solo quando è fuori dal Forum mentre sta per lasciare Cernobbio, Tremonti riveste i panni del vicepresidente di Forza Italia e attacca a testa bassa Veltroni bifronte, «quello che è ancora al governo e ha scritto i numeri della recessione e ne ha la responsabilità e quello che parla di miracoli presentandosi come il nuovo e il diverso». Tremonti accusa il Pd di avere un programma alla Disneyland «mentre il nostro parla di crisi in arrivo. Il governo lo sapeva ma ha fatto come la cicala». L'eredità sono i numeri: la crescita zero, le tasse al massimo, un'inflazione alta e conti pubblici in disordine. Solo loro possono dire che il risanamento è solido, in realtà l'economia va male e questo è il bilancio che ci lasciano in eredità». La punta polemica contro il leader del Pd però finisce qui e rigorosamente fuori dal Forum. È il tono dello statista super partes quello che ora sembra affascinarlo di più. Che la veste di ministro gli stia stretta già prima di averla indossata? L. D. P.

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