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Prodi si fa «tentare» dal modello tedesco dell'Udc

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I centristi «tentano» il presidente del Consiglio facendogli capire che se si avvia un dialogo sul modello tedesco, e su tre riforme della Costituzione, allora il governo potrebbe navigare relativamente tranquillo per due anni. Arriva però il «niet» di Forza Italia e An. Gianfranco Fini chiude: o si fanno leggere modifiche all'attuale legge oppure c'è il referendum. Un passo indietro preoccupante, commentano i Ds. Il centrosinistra per ora resta a guardare: l'Ulivo non ha ancora preso una posizione unitaria, i piccoli sono in fibrillazione. Se il ministro per le Riforme Vannino Chiti punta ad una risoluzione bipartisan del Parlamento prima del 24 aprile, giorno di inizio della raccolta delle firme per il referendum, Arturo Parisi gela Francesco Rutelli: non lascio il comitato referendario. Nel giorno in cui il capo dello Stato Giorgio Napolitano, da Bologna, rilancia la necessità di un confronto tra i poli per varare riforme e nuova legge elettorale, lo stato maggiore dell'Udc va a Palazzo Chigi da Prodi e Chiti. Al termine dell'incontro, il segretario dei centristi Lorenzo Cesa ribadisce la linea. Sì al modello tedesco, no al referendum, e discussione su tre riforme della Carta: revisione del bicameralismo, razionalizzazione del numero dei parlamentari, sfiducia costruttiva. Cesa riferisce che da parte del premier ci sono state apertura e disponibilità e dunque «può partire un dialogo serio». I centristi spiegano al premier che con semplici ritocchi alla legge (il metodo D'Alimonte per cui si batte Berlusconi) l'anno prossimo si andrebbe già alle elezioni. Con un'intesa sul sistema tedesco e sulle altre riforme, lo scenario invece cambia. «Si ricostituirebbe - spiega il capogruppo al Senato Francesco D'Onofrio - il quadro politico della Bicamerale. C'è modo e modo di fare opposizione. Noi abbiamo un obiettivo politico e qualche prezzo si deve pur pagare». Tra l'altro, secondo l'Udc, il modello tedesco raccoglierebbe già numerosi consensi fra i gruppi parlamentari. Ma se è vero che su questo specifico sistema elettorale c'è effettivamente la convergenza di Rifondazione Comunista, non c'è invece quella dei Comunisti Italiani (che pure Cesa annette alla causa) né quella dei Verdi. In ogni caso Prodi e Chiti sono soddisfatti. Il premier giudica positive le aperture di Lega e Udc, pensa che ci siano le condizioni per un dialogo con il centrodestra e attende di capire se la chiusura di Forza Italia sia definitiva o solamente tattica. Sembra inoltre che Chiti abbia disegnato questa «road map»: chiusura degli incontri con le forze politiche entro marzo e poi via libera ad una risoluzione delle Camere prima del 24 aprile. Strada possibile, ma che si scontra con l'asse Berlusconi-Fini. Ieri mattina a Montecitorio si sono incontrati il presidente dei deputati di An Ignazio La Russa e il vicecoordinatore azzurro Fabrizio Cicchitto. Alla fine La Russa ha parlato di «piena sintonia sulla necessità di dire no al doppio turno e di mantenere il bipolarismo». Concetto ribadito anche dal coordinatore azzurro Sandro Bondi secondo cui le modifiche indicate da D'Alimonte vanno benissimo mentre eventuali riforme della Carta possono essere varate solo con «la nascita di un governo diverso». I Ds reagiscono: la destra vuole una riforma minima che soddisfi solo Berlusconi, senza risolvere i problemi creati dalla loro pessima riforma. Se questa posizione non viene superata, il dialogo è difficile. L'Ulivo, però, per il momento non si muove e si registra invece una fibrillazione dei piccoli partiti. Verdi, Pdci e Udeur chiedono a Ds e Margherita di prendere posizione sul referendum, sottolineando che l'Unione non può andare in ordine sparso al dibattito sulla riforma elettorale. Si è dunque deciso di convocare un incontro dei capigruppo del centrosinistra di Camera e Senato, probabilmente per la prossima settimana. La pratica è stata affidata al presidente dei deputati dell'Ulivo Dario Franceschini. Nel frattempo naufraga la proposta del leghista

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