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Romano stringe con Verdi e Rifondazione e molla Ds e Margherita

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Voleva riorganizzare la sua immagine, dare un po' di slancio. Ma anche lui ha ben poco da dire, si sente scottato dal clima infuocato, non vuole farsi male ulteriormente e quindi si limita ad annunciare in modo soft che «abbiamo riempito di contenuti la svolta», parole vaghe. Ma è tutto quello che può fare: stava cercando di recuperare per non finire come l'unico sconfitto del conclave di Caserta. Come colui che solennemente aveva annunciato «O riforme o morte» appena domenica scorsa, lunedì era stato di fatto smentito da tutti i suoi ministri che avevano preso le distanze dalla sua sortita e giovedì trionfalmente smentito dai fatti perché a Caserta è stato deciso tutto tranne che le riforme. E soprattutto s'è deciso di non morire. Passeggiano ieri pomeriggio per gli scaloni della Reggia due vecchi amici Marco Pannella e Alfonso Pecoraro Scanio. Uno fa all'altro: «Il più importante fatto di questo vertice è che il governo ha deciso di durare». E il ministro: «E ti pare poco?». Si va avanti, dunque. Si sopravvive. Si vivacchia. E ti pare poco? Il governo procede. Con Prodi che guarda più agli angoli del suo orticello che ai frutti delle sue piante. Attento a non far arrabbiare l'ultimo partitino della coalizione. Pronto a dare bastonate ai due principali, Ds e Margherita. Fassino e Rutelli tornano a casa con le ossa rotte. Se le sono date di santa ragione e non hanno portato a casa nulla. La Quercia ha chiesto e sostenuto persino nell'ennesimo scontro fratricida con la Cgil la riforma delle pensioni. Forse si farà una ampia riforma del più vasto welfare: e quando i politici prendono queste strade vuol dire che non si farà nulla di nulla. Ma è sulle liberalizzazioni che i due partitoni si sfidano e se le danno. I Ds hanno un Bersani che va avanti come un treno, liberalizzare tutto e subito è il suo motto. La Margherita non ci sta perché si voleva caratterizzare come il partito che apre al mercato e si vede sfuggire di mano il tema. Frena, mette i bastoni fra le ruote a Bersani, fa controproposte con la ministra Lanzillotta. E viste le difficoltà dei Ds, Rutelli gioca d'anticipo. Organizza una conferenza stampa e annuncia che «è stato deciso di costituire, sotto la guida del Presidente del Consiglio, una cabina di regia vera e propria, che riguarda i provvedimenti sulle liberalizzazioni». Circola anche la voce che della cabina di regia in realtà se ne occuperà il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Enrico Letta, che - guarda caso - è della Margherita. Un modo per scippare l'argomento dalle mani dei Ds e metterci il proprio marchio sopra. La notizia arriva alle orecchie di Prodi che la prende male. E alla sua conferenza stampa appare sprezzante. Quella locuzione, cabina di regia, è idonea solo nei casi in cui «ci sono diversi soggetti che intervengono» ma non è esatta per definire un lavoro svolto all'interno del governo. Il governo è uno, non si può fare una cabina nell'esecutivo: sarebbe fare come fare una squadra dentro una squadra». Poi la sua voce si fa dura: «Sulle liberalizzazioni io me ne assumo la responsabilità. Sto guardando con interesse tutti i fili della lenzuolata di Bersani e le altre proposte per fare la sintesi. È il governo - insiste Prodi - impegnato nelle liberalizzazioni, con tutta la sua squadra». Bersani fa da paciere, assicura che l'iter delle liberalizzazioni «non sarà rallentato perché nessuno nel governo ha la volontà di rallentarlo». Sarà poi il Presidente del Consiglio a organizzare le cose nel modo migliore». Ds e Margherita sconfitti, Prodi prende a calci i soggetti principali del suo futuro Partito Democratico. Gongola invece Rifondazione che da questo vertice esce come il partito che ha incassato di più. Come tutta l'ala radicale, con i Verdi. Guadagna anche Di Pietro pluricitato con le sue infrastrutture. Perché anche i suoi due voti saranno decisivi.

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