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Sono gli uomini di Fassino a spingere il premier verso un «new deal» del 2007

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Il problema non è semantico. È politico. E, al di là delle definizioni, appare chiaro che la politica del governo è a un punto di svolta: uno dei sintomi più palesi è la corale replica positiva alla «richiesta» di dialogo lanciata dal presidente della Repubblica nel messaggio di fine anno. Raccolta con entusiasmo da quasi tutti gli esponenti di spicco della maggioranza oltre che, ovviamente, da quelli dell'opposizione. Ma la novità è un'altra, meno evidente eppure chiaramente «leggibile» tra le righe delle dichiarazioni e nell'agenda degli appuntamenti che vedranno impegnato l'esecutivo nel 2007. Ed è che il partito della Quercia avrà in questa «Fase Due» o «Uno bis», come preferisce battezzarla Prodi, un ruolo chiave. Sono gli uomini dei Ds a spingere il premier verso il «new deal» del nuovo anno. A chiedere che il boa constrictor della Finanziaria si evolva, in una sorta di metamorfosi «buona», nel fenicottero rosa dello sviluppo, delle riforme, dei diritti sociali e civili; che le liberalizzazioni abbozzate nei primi sei mesi di governo tocchino settori più importanti di quelli affrontati finora, come i servizi bancari (a tutt'oggi poco competitivi e scadenti rispetto al resto dell'Ue) e le Comunicazioni. Sono gli esponenti del Botteghino a spingere verso una coalizione più coesa e compatta che superi gli scogli ancora minacciosi della politica estera, delle unioni di fatto e, soprattutto, delle infrastrutture necessarie al tanto decantato rilancio economico del Paese. Sono loro, a partire da Napolitano (che pure resta eminentemente super partes in quanto capo dello Stato e può contare comunque sul prezioso dono della sua sensibilità storica) a volere l'apertura di un dialogo con la minoranza almeno su questioni come quella delle riforme istituzionali, a cominciare dalla riforma elettorale. E saranno loro, infine, i protagonisti dei prossimi «passaggi» fondamentali dell'azione di Palazzo Chigi, la Pollastrini per quanto riguarda le unioni civili, Chiti per la riforma elettorale, D'Alema in relazione al rientro dell'Italia nel consiglio di sicurezza Onu, Bersani per il completamento dell'«operazione liberalizzazione», Damiano per la riforma del sistema pensionistico, tanto per citare alcuni esempi. Come dicevamo, i segnali di questa svolta nella svolta sono numerosi. E nemmeno tanto latenti. All'indomani del discorso del premier, il segretario dei Ds avverte: «Bisognerà riprendere da subito il percorso delle riforme istituzionali e costituzionali» e «verificare la possibilità di un'intesa con l'opposizione per dare al Paese una legge elettorale meno barbara». Fassino non manca di sottolineare che «Prodi ha parlato giustamente del 2007 come anno di svolta» e che «era esattamente questo il senso della sollecitazione mia e di altri dirigenti del centrosinistra». Più papale di così...! In seguito all'appello di Napolitano, il presidente del Consiglio coglie l'occasione per «aprire» al centrodestra dopo sei mesi di indispettiti rifiuti, vedendo nel messaggio del Quirinale «un giusto richiamo» alle forze politiche». L'Italia «rischia continuamente la paralisi a causa dei troppi veti incrociati, delle troppe divisioni, dei troppi particolarismi» e il messaggio di Napolitano deve spingere parlamento e governo «a ricucire un dialogo che spesso la battaglia politica mette in secondo piano», ha riconosciuto il Professore, facendo finta, però, di dimenticare che per dialogare bisogna essere almeno in due. Affermazioni che, per una volta, hanno trovato d'accordo tutti, o quasi (il Pdci di Diliberto fa, come al solito, eccezione) i rappresentanti dell'Unione. Il vicepremier Rutelli si è affrettato a dirsi pronto ad accogliere l'invito al dialogo tra i poli «per costrutire migliori soluzioni nell'interesse del paese»; Piero Fassino ha detto di considerare il discorso dell'«uomo del Colle» un «appello forte al valore della politica e una giusta sollecitazione a istituzioni e partiti ad essere all'altezza delle aspettative degli italiani». E il segretar

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