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CHE la Margherita guardasse con attenzione alle «piroette» di Pier Ferdinando Casini e dell'Udc non è un mistero.

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Certamente il centrosinistra guarda a questa spaccatura con rispetto, ma prende atto del fatto che questa indebolisce le forse di opposizione». Molto critico, invece, Giuseppe Nardi, dell'Italia di mezzo di Marco Follini, che rivendica al proprio partito di avere «il coraggio e la lungimiranza» che mancano all'Udc e a Pier Ferndinando Casini, che «ancora una volta dimostra di essere affezionato al passo del granchio». Per Nardi, l'Udc è un «partito verticistico, in cui il leader è tutto e la coscienza critica non ha valore alcuno», e «per questo non potrà essere parte di un processo innovativo che tenta di rompere uno schema politico ed istituzionale pachidermico, di selezionare una classe dirigente seguendo il criterio della meritocrazia più che della fedeltà al capo, di ricondurre la politica alle regole ed all'interesse generale più che all'interesse del lider maximo». Secondo Nardi, «un partito che compone le liste per il rinnovo di Camera e Senato seguendo il criterio della fedeltà al capo è auspicabile rimanga ben saldo nella Cdl», mentre l'Italia di mezzo vorrà essere «tutto quello che non è stato, non è e non sarà l'Udc». L'europarlamentare del Pdci Marco Rizzo è invece intervenuto sullo scontro tra il leader di An e quello dell'Udc sulla riforma del sistema elettorale: «Lo scontro Fini-Udc anche sulla legge elettorale — ha commentato — è il sintomo di una crisi vera della Casa delle libertà. Inutile tentare di cancellare la guerra per la leadership sotto il tappeto come la polvere».

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