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Il premier fa mea culpa e si domanda: «È cambiata l'Italia?»

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Prodi seconda versione, tre ore più tardi, davanti ai giornalisti: siamo all'inizio del cammino, governeremo cinque anni. Il premier, dunque, cambia pelle dopo il megasummit di maggioranza, appare rinfrancato e si sente un po' più in sella del solito. Soprattutto, sembra leggermente più rilassato rispetto al solito. Che cosa è accaduto? Nelle ore del vertice di Villa Pamphili, il leader ha messo subito le mani in avanti con una serie di mea culpa. E ammette: «Abbiamo sbagliato a non denunciare la situazione vergognosa in cui era stato abbandonato il Paese? Forse sì. Abbiamo commesso errori quando si è trattato di spiegare quanto stavamo e stiamo facendo per rendere l'Italia un Paese migliore e dove i giovani vogliono vivere? Probabilmente sì». E si spinge oltre: «Ma l'autocritica e la psicanalisi non bastano. C'è da capire perché un Paese che ha votato per il centrosinistra faccia fatica a comprendere le ragioni di un governo che propone idee, soluzioni e provvedimenti di centrosinistra. È cambiata l'Italia? Sono cambiati gli italiani?». Prodi si lascia andare: «Siamo il Paese non solo dei mille campanili, ma delle mille corporazioni. Non solo delle corporazioni professionali o economiche, ma di quelle individuali e "particolari". È la frammentazione il grande male dell'Italia». Proclama con toni lirici: «Forse un torto lo abbiamo avuto: quello di non sbandierare la situazione devastante ereditata dal governo precedente. Con questo abbiamo contribuito a creare attese troppo grandi, anche se, analizzata nei suoi aspetti quantitativi e qualitativi, costituisce il cambiamento più forte realizzato da ogni precedente legge di bilancio». E infine detta la linea delle prossime settimane che è quella di cominciare a parlare in positivo, di mandare messaggi dolci, di ottimismo. L'esordio di questa nuova fase: «Vogliamo un'Italia che cresca almeno del 3% all'anno». Il Paese «ce la può fare, c'è nel Paese, nel nord come nel sud una grande domanda di crescita» e la Manovra darà risposte. Nel vertice, il premier incassa l'aiuto di Fassino e la spinta di Rutelli («Se non facciamo crescere il Paese - ha detto il leader Dl nel suo intervento - non riusciamo nemmeno a redistribuire»). Tende la mano ai 54 tra ministri, sottosegretari, leader di partito e presidenti di commissione invitando tutti a mandare «early warning», avvisi, prima che scoppino i problemi. E appare nella conferenza stampa all'americana (allestita sul prato all'aperto, come fanno i presidente Usa) e promette che la sua non sarà l'ultima Finanziaria, magari è solo la prima. Apre alle modifiche ma senza toccare i saldi. Cita Padoa Schioppa: «I muri maestri non vanno toccati, ma le pareti interne possono essere anche variate». «Io mi sono concentrato sui muri maestri, gli stucchi fateli voi...» aveva detto. Insomma, Prodi incassa una fiducia. Rinsalda l'asse con gli alleati tanto che può arrivare a rigettare ipotesi di larghe intese: «In questa legislatura non ci sono maggioranze diverse da quella attuale». E il risultato è che il vertice almeno ha funzionato per stemperare gli animi. I nodi restano tutti. Oliviero Diliberto durante l'incontro torna a tuonare sull'Afghanistan. Un po' tutti solidarizzano con Mussi per i tagli all'Università. Viene solo sfiorato il nodo delle pensioni, visto che i Comunisti italiani continuano a porre veti dimenticando il protocollo che è stato firmato che prevede la revisione della riforma. Il senso della giornata dunque è che il Professore va avanti. A dispetto dei gossip, come li chiama Fassino, che circolano. Le manovre che già stanno preparando, a piccoli ma costanti passi, il dopo Prodi.

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