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In ansia le sezioni romane Ds «È un'operazione di vertice»

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Non è semplice il cammino che porta al Partito Democratico. Lo sanno bene i militanti Ds che hanno assistito ai dibattiti, ai seminari orvietani, che sono perfettamente coscienti di essere di fronte a una svolta decisiva. Diversa ma ugualmente potente rispetto al grande cambiamento che portò dal tramonto del Pci, alla nascita del Pds. Fra i segretari delle sezioni romane dei Ds c'è perfetta coscienza di quelli che sono gli umori e le urgenze del cambiamento, hanno diretto contatto con chi fa il partito, con chi lavora alla base, fa domande, esprime perplessità. «Partito democratico sì, però si avvertono i limiti di come si sta sviluppando il discorso - sottolinea preoccupato Daniele Ozzimo, segretario Ds per il V Municipio capitolino, zona Tiburtino-Ponte Mammolo - Sembra più una questione di vertice. La base si sente ancora poco coinvolta dal dibattito in corso, nonostante le iniziative della federazione romana Ds. Serve una partecipazione totale del popolo delle primarie, della base della Margherita e dei Ds, dell'Ulivo. Il lavoro delle sezioni territoriali è di continuo scambio con i cittadini che continuano a informarsi e stanno attenti a questo cambiamento possibile». La necessità di maggiore partecipazione si fa prepotente e, anche se non viene chiesta a chiare lettere, appare nei commenti in tutta evidenza. «Al Partito Democratico non si può rinunciare, semmai il vero dibattito è sulla forma che deve assumere. Il partito dei Gazebo non interessa - dice Michele Cardulli, segretario della sezione Capannelle, in X Municipio, Tuscolano-Capannelle - Deve essere un partito di massa, un modello che deve nascere nel segno della militanza e della piena partecipazione». «Il Partito Democratico è già fatto. Vedi il voto e le scelte degli elettori, il largo consenso per l'Ulivo - continua Fabio Nicolucci, segretario sezione Ds Centro -. L'Ulivo riempie le sale, le urne, le primarie». Un patrimonio che deve essere valorizzato, non disperso o tenuto in secondo piano nel definire il Pd. Gli intoppi sono sicuri, del resto è un cammino tutto nuovo». La memoria ritorna per forza di cose alla caduta del muro di Berlino nel 1989, alla trasformazione del Pci in Pds, alla prima vera candidatura per la guida del Paese, nella primavera del 1994, con l'alleanza dei Progressisti. C'è anche un larvato timore di perdere la propria identità nel grande «brodo democratico». «Il cambiamento da Pci a Pds fu più complicato e laborioso - ricorda Cardulli - Adesso stiamo vivendo un momento completamente diverso, una sperimentazione comune con l'Ulivo che dura da anni. C'è da vedere, nell'ambito della forma da dare al nuovo Pd, come unire due entità, Margherita e Ds, che provengono da esperienze diverse, storie che non devono essere rinnegate, ma trovare un punto di fusione per questa nova partenza». «Avevamo un passato da riesaminare: fu più duro e per certi versi doloroso dare vita al Pds - dice Nicolucci - Oggi, sotto un certo punto di vista, il lavoro è facilitato. Con l'Ulivo si lavora dal 1995 per un partito unico. Un cammino obbligato, ma così aiutiamo anche la nascita di un "Ulivo di destra", pungoliamo pure gli altri che sono parecchio indietro nel percorso verso un partito unitario. Sarà un bene per il Paese». Non maca un richiamo a non perdere tempo in confronti sterili, ad approfittare di grandi occasioni anche a livello europeo. «È incomprensibile e strano come un Pd che rappresenta già un terzo dell'elettorato e che vuole allargare i propri consensi, rinunci al Partito Socialista Europeo, entità politica che non è più quella di Willy Brandt - rimarca Ozzimo - Tutti ne siamo coscienti: il tema non è se morire democristiano o socialista. Piuttosto, bisogna chiedersi se è quella la sede dei riformismi europei. Oggi il Pse è un contenitore straordinario. Lavorando al suo interno ne si allargherebbe il consenso e si darebbe nuovo e grande respiro europeo al Pd».

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