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ORA anche Fausto Bertinotti è a favore dell'allargamento della maggioranza di centrosinistra.

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Con una mossa destinata ad animare il dibattito estivo, il presidente della Camera e leader di Rifondazione Comunista dice di vedere di buon occhio un ingresso nel centrosinistra di alcune forze provenienti dallo schieramento opposto: quelle forze, per la precisione, che sono fuori dalla coalizione «ma che ne hanno compreso meglio la natura e scelgono di unirsi a noi». La sua idea, spiega in un'intervista a Liberazione dopo quella a La Stampa sullo stesso argomento, prevede un'alleanza «tra il popolo della sinistra e quella parte della borghesia che vuole andare oltre il liberismo». Bertinotti fa il nome dell'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, come esponente di quest'ala illuminata della borghesia con cui dialogare. Secondo il presidente della Camera, il centrosinistra farebbe bene a porsi il problema, se vuole evitare «le forze centrifughe e i rischi di disgregazione» che ne minano l'azione. La proposta del «subcomandante Fausto» si inserisce in un filone nel quale entra anche l'esponente della Margherita Pierluigi Castagnetti, favorevole alle larghe intese e a un patto parlamentare con l'opposizione. Due ricette diverse, per risolvere lo stesso problema: quello dell'esiguità della maggioranza al Senato. Il dibattito tra le forze politiche è ormai aperto. Il primo interrogativo riguarda le forze e gli uomini che Bertinotti vorrebbe vedere nell'«Unione allargata». Il primo pensiero corre ai centristi dell'Udc. E infatti i diretti interessati si affrettano a smentire: «Ciascuno può dire quello che vuole - dice il vicepresidente del Senato Mario Baccini - ma per quanto riguarda l'Udc l'argomento non è all'ordine del giorno». Ma se il partito di Casini fa sapere di non essere interessato, anche la sinistra radicale prende le distanze dalla sortita di Bertinotti. Il leader dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio ritiene che un cambio di maggioranza «non sarebbe capito dagli elettori, che non tollererebbero il mancato rispetto del patto elettorale». «L'unica alternativa a questo governo - avverte Pecoraro - sono nuove elezioni». Ancora più polemico il capogruppo del Pdci alla Camera Pino Sgobio: allargare la maggioranza vorrebbe dire «spostare l'azione politica del governo su posizioni neocentriste e moderate». Il rischio, sostiene l'esponente del partito di Diliberto, è quello di un indebolimento del programma su temi cruciali come la scuola, il lavoro, l'immigrazione. Non condivide nemmeno Salvatore Cannavò, deputato della minoranza «antibertinottiana» di Rifondazione: l'allargamento della maggioranza rappresenterebbe una «sconfessione della linea del Prc»; se andasse in porto bisognerebbe convocare un congresso straordinario del partito e, fa capire, rimettere tutto in discussione. Non sembra entusiasta dell'idea bertinottiana il ministro della Giustizia Clemente Mastella, che ricorre all'ironia: «Quello di Bertinotti - osserva il leader dell'Udeur - è un messaggio evangelico. come dire "siate buoni"...». L'allargamento, sostiene, può andare bene in Parlamento sui grandi temi, non certo a livello politico. Mastella, forse, teme cambiamenti di governo in corso di legislatura. E avverte: nessuno pensi a una replica del 1998, quando cadde Prodi e arrivò D'Alema. Sarebbe «un peccato mortale» con conseguenze funeste: il centristi se ne andrebbero e la sinistra «tornerebbe a governare nel 2500 dopo Cristo».

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