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Testi blindati per superare imboscate al Senato. Ora è la volta di Afghanistan e Bersani

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In carica dal 17 maggio 2006, il governo guidato dal Professore ha già posto per ben tre volte la questione di fiducia e potrebbe porla ancora due volte prima della pausa estiva. Ieri, al termine del Consiglio dei Ministri, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Enrico Letta ha annunciato che il Governo è stato autorizzato a porre la fiducia, se necessario, sul disegno di legge per il rifinanziamento delle missioni italiane all'estero e sul decreto Bersani. Insomma, neanche due mesi alla guida del Paese, e il Prodino ha già battuto il precedente governo. Nel 2001, infatti, l'esecutivo guidato da Berlusconi pose la questione di fiducia solo tre volte. Certo, per il Cavaliere era tutta un'altra storia, una netta maggioranza sia alla Camera sia al Senato e nessun dissenso da governare. Prodi, invece, ha a che fare con una coalizione variegata e non passa giorno che qualche «cespuglio» si alzi per minacciare l'appoggio esterno o paventare l'apertura di una crisi di governo. Come se non bastasse, i numeri sono da cardiopalma e due senatori di maggioranza a Palazzo Madama sono talmente pochi che basterebbe un soffio di vento per far cadere tutto. Così, meglio ricorrere alla fiducia una volta in più che tornare a casa troppo presto. Dopotutto già durante la formazione di governo la logica del «do ut des» aveva raccolto frutti con Clemente Mastella che, dopo aver minacciato di restare fuori dall'esecutivo, ha ottenuto la poltrona di Guardasigilli. Che dire poi dell'Italia dei Valori che, per protestare contro il mancato ripristino del dicastero per gli Italiani nel Mondo, minacciò addirittura di non votare la fiducia al governo? Insomma abbastanza per capire che, la vita, non sarebbe stata semplice. Così, pronti, via, 29 giorni di vita, ed ecco arrivare il primo voto di fiducia. È lo stesso premier ad annunciarlo da Berlino. Il decreto è quello che riguarda lo «spacchettamento» dei ministeri in discussione al Senato. Un testo fondamentale per l'esistenza stessa del governo. «Mi pare - dice Prodi - che ci sono 400 emendamenti, è chiaro che in questi casi si pone la fiducia». All'ultimo minuto, però, il governo si trova costretto a mettere la fiducia anche su un altro provvedimento: quello che riguarda la proroga di atti (il cosiddetto «milleproroghe»). Tocca al ministro per i Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti annunciarlo a Palazzo Madama: «Si tratta di un provvedimento importante e per il quale c'è necessità di avere tempi certi e rapidi». E sono due. E così, i primi provvedimenti importanti approvati dal Senato, passano grazie alla blindatura della fiducia. La scena, però, si ripete uguale qualche settimana dopo alla Camera dove l'esecutivo è costretto a ricorrere alla fiducia per superare, dice, la mancata intesa con l'opposizione sul «decreto spacchettamento». Insomma per «nascere» il Prodino ha bisogno di più fiducia. Ed eccoci alle ultime 24 ore. Stavolta a finire sotto l'ombrello protettivo del voto di fiducia potrebbero essere il decreto sull'Afghanistan e quello sulla competitività (il Bersani-Visco). I motivi sono quasi ovvi. Sul primo, infatti, non è ancora rientrato il dissenso degli 8 senatori di Prc, Verdi e Pdci che, alla fine, potrebbero comunque votare contro aprendo una crisi governativa sulla politica estera. Sul secondo, invece, la marcia indietro di Visco e Bersani su farmacisti, Iva e tassisti, potrebbe non bastare per convincere tutta la maggioranza in maniera compatta. Prodi, ovviamente, è più preoccupato dall'Afghanistan anche se ieri in un'intervista alla tv svizzera italiana ha assicurato che il governo «non è in pericolo». Per la verità, il premier era fiducioso anche nel 1998 quando, per superare la crisi aperta di Rifondazione, chiese la fiducia per il governo. Allora perse per un voto.

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