Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Follini vuole ridiscutere di leadership

default_image

Proporzionale già in crisi, Fini insiste per la soglia anti-Mussolini e avverte: «Siamo sicuri che passa la riforma?»

  • a
  • a
  • a

E ci risiamo. Se il centrosinistra è compatto contro la legge elettorale (all'unisono l'opposizione denuncia: «È una truffa»; e Prodi aggiunge: «È in gioco la democrazia»), il centrodesra sembra alle prese con nuovi veti incrociati anche su una riforma che sembrava mettere tutti d'accordo appena qualche ora prima. Di primo mattino parla Silvio Berlusconi: «Questo è il momento in cui si deve fare», chiarisce respingendo i dubbi sulle scarse possibilità offerte dai risicati tempi parlamentari, con la legislatura ormai agli sgoccioli. «Si può lavorare di notte, il sabato e la domenica», spiega, sottolineando però che ora è tutto nelle mani della maggioranza. E aggiunge: «Tutto dipende dall'esistenza di un accordo nella Cdl». Per tutto il giorno l'opposizione attacca a testa bassa. Il quadro politico appare sempre più incerto. Al punto che la riunione dell'esecutivo di An si dilunga per varie ore. Ad essere perplesso è soprattutto Gianfranco Fini, il quale, sotto forma di domande, pone una serie di dubbi ai suoi che pesano come affermazioni. La prima: «Ma voi pensate che si riesca a varare la nuova legge elettorale?». Il giro di opinioni ha una sentenza scontata: tutti gli esponenti di An sono scettici e fanno notare che soprattutto tra i parlamentari meno noti ci sono dubbi. «Al primo voto segreto, la legge viene bocciata», fanno notare. Viene sollevato anche un problema tecnico: «Con il nuovo sistema - spiega un fedelissimo - sono avvantaggiati i candidati delle città più grandi che sono abituati a lavorare anche oltre il loro collegio, mentre quelli della provincia e dei piccoli capiluogo avranno enormi difficoltà a rapportarsi con le megacircoscrizioni». Ma Fini ragiona oltre, oltre le elezioni, mentre nelle sue parole in molti sembrano leggere dinamiche da prossima sconfitta elettorale (anche se non sono mancati gli incitamenti): «Secondo voi, dopo che accadrà? Ci sarà un riequilibrio di tutta la coalizione? Due mesi fa parlavamo di costituente del centrodestra e oggi sembra tutto dimenticato...». In pubblico, i dubbi del vicepremier si traducono in condizioni agli alleati: viene prima la riforma costituzionale, che contiene la clausola antiribaltone, e in ogni caso lo sbarramento al 4% è «elemento insostituibile» di una modifica del sistema elettorale. Un bastone tra i raggi dell'Udc che invece cercava un accordo con gli alleati per superare lo scoglio del 4% (che per An è una sorta di soglia anti-Mussolini), non gradito a Follini. Di qui, l'avvertimento serale di Follini, il quale, visto che sulla riforma su cui ha insistito tanto vede ostacoli, torna a ridiscutere del ruolo di Berlusconi. Siamo alla tattica, visto che la posizione del segretario dell'Udc sembra proprio una chiamata in causa del premier per risolvere i nodi. Ma in via dei due Macelli si apprestano anche a preparare nuove sortite proprio sul partito unico. A sinistra alzano il tiro e Fassino fa sapere che andrà da Ciampi. Proprio mentre tutto si complica, arriva un altro fulmine a ciel ormai non più sereno. Marcello Pera, presidente del Senato, lancia l'allarme: «In queste ore sono preoccupato per la questione della legge elettorale. C'è il rischio di un ritorno alla democrazia che abbiamo sperimentato per cinquant'anni, in cui il voto non andava ad un governante possibile ma a un partito, a una lista e poi nessuno poteva controllare il seguito di quel voto». «Sono convinto della democrazia dell'alternanza - dice ancora il presidente del Senato - che è il sistema che consente ai cittadini di essere loro gli arbitri». E torna a chiedere di procedere sulla strada del partito unitario.

Dai blog