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«Mi spiace, non me l'aspettavo

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Chi è? Classe 1921, è parlamentare dalla terza legislatura. Insomma, da più di quarant'anni. Uno che certo non deve fare carriera. Una vita nella politica, con una breve incursione nel calcio come consigliere di amministrazione dell'Inter. E una vita nell'Msi, quasi tutta al fianco di Giorgio Almirante. Al punto che proprio Servello, sul finire degli anni Ottanta, quando il fondatore del Movimento sociale decise che era giunto il momento di farsi da parte, pensò che fosse scoccata la sua ora. L'ora di assumere la segreteria del partito. Non fu così, perché Almirante ritenne invece che si apriva una nuova epoca e toccava a un giovane, al giovane Gianfranco. Vite che s'intrecciano. E il vecchio senatore è uno che conosce Fini da quando era un ragazzino. E per questo può permettersi di dirgli in faccia quello che pensa più di quanto possa fare un colonnello. Come fa appunto alla buvette. Lo incrocia e lo affronta. «Gianfranco - gli fa - devi spiegare qual è il progetto del partito; i nostri iscritti sono piombati davvero nello sconforto». Fini annuisce. «No, Gianfranco, non è possibile andare avanti così - insiste Servello -. Non si capisce qual è l'identità del partito. Devi parlare e spiegarla». Fini annuisce ancora. Ma Servello non molla e si spinge oltre. Parla ancora e lo attacca: «Ricorda, Almirante non avrebbe mai fatto quello che stai facendo tu». «In che senso, scusa?», domanda Fini. «Nel senso che non fece quello che hai fatto - insiste il senatore -. Non si è mai permesso di fare campagna elettorale contro la maggioranza del partito». «Ma quando, scusa?», chiede Fini. E Servello si spinge sulle punte dei piedi, si arrampica sulla giacca di Fini, gli si avvicina all'orecchio: «Sul divorzio, nel 1974. Lo sappiamo tutti che Giorgio, non dico fosse favorevole, ma certamente non era contrario. Non era d'accordo sul fatto che il partito facesse campagna in difesa del divorzio». Fini si abbassa, ascolta interessato. Servello insiste: «Ecco, allora Giorgio si rese conto che il partito era schierato su un'altra posizione e non gli andò contro come stai facendo tu». Il leader si spazientisce, cerca di allontanarsi, passetto dopo passetto di avvia verso l'uscita della grande sala specchiata di Montecitorio. Il senatore non ci sta: «Allora Giorgio rimase in silenzio per tutta la campagna elettorale. Alle poche manifestazioni alle quali partecipò, si adeguò alla linea che aveva deciso il partito». Fini non ci sta, si ferma, si volta verso Servello: «Guarda, era una situazione diversa». «Diversa? Non mi sembra proprio. Hai preso una posizione contro il tuo partito, contro i militanti», accusa Servello. Fini perde la pazienza, congiunge le mani e le agita nel vuoto: «Scusa, Franco, ma c'era la libertà di coscienza! Il partito ha deciso per la libertà di coscienza e io ho deciso secondo coscienza. E ho fatto la cosa che ritenevo giusta». La sua voce si fa più dura, le sopracciglie si alzano: «Mi volete contestare questo? Volete dire che non agito con onestà intellettuale?». Gira le spalle e guadagna il Transatlantico. Il vecchio senatore come un cagnaccio non s'arrende: «Gianfranco, ma questo poteva ancora andare. Ma tu ti sei messo a dire che il partito, facendo la campagna per l'astensione, stava facendo una cosa "diseducatica". Capisci? "Diseducativa". Hai detto che il tuo partito è diseducatico. Insomma...». Fini si rivolta ancora verso l'esponente del suo partito, il suo volto che un momento prima era tirato, si fà rilassato, il tono della voce si abbassa: «Senti, Franco. Ho fatto la cosa che ritenevo giusta. Non è la stessa storia del divorzio trent'anni dopo. È una situazione più complessa, questa volta c'è anche una questione scientifica. E una medica. Non è stato facile decidere. L'ho fatto. Non credevo che questa sarebbe stata la reazione. Non credevo ci sarebbe stata tutta questa disapprovazione. Tutto qua. Non volevo fare del male a nessuno. Ma ti rendi conto che cosa è successo, Franco? Mi

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