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Fallisce il referendum, alle urne il 25,9% degli elettori, all'estero il 20,8%

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L'affluenza fu più bassa solo per l'articolo 18. Il sì raggiunge l'88,8% il no l'11,2%

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Alla consultazione popolare di domenica e lunedì (49.731.352 aventi diritto al voto) il quorum non è stato raggiunto, la percentuale dei votanti è stata appena del 25,9 per cento. Un flop. All'estero ha votato il 20,28 per cento degli aventi diritto. Complessivamente l'88,8% dei voti sono andati al sì, l'11,2% al no. Per la validità del referendum era necessario raggiungere il quorum, cioè il 50 per cento dei cittadini aventi diritto più uno. Questa la distribuzione del voto in Italia e all'estero. Scheda numero 1 (limite alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni): 89,2% sì, 10,8% no. Scheda numero 2 (norme sui limiti di accesso): 89,9 al sì, 10,1% al no. Scheda n. 3 (diritto dei soggetti coinvolti ai limiti di accesso): l'88,8% dei sì contro l'11,2% dei no. Ultima scheda, la numero 4 (divieto di fecondazione eterologa): 78,2% dei voti al sì, 21,8 al no. Scartabellando le percentuali dell'affluenza nelle 120 province italiane saltano agli occhi in Piemonte i dati di Cuneo (21,8%), in Lombardia di Sondrio (piantatasi al 16), di Bolzano (fermatasi al 16,6) e in Veneto di Verona (al 21,6). Più generosa in Friulia Venezia Giulia la provincia di Gorizia (37,7%), in Liguria di La Spezia (al 38), in Emilia Romagna della "rossa" Bologna (47,4) e in Toscana di Firenze (45,9). Nel Lazio Roma rifà calare la febbre al 31,5%. Andando a vedere i risultati referendari, era andata peggio solo un'altra volta, il 15 giugno del 2003. Si votava allora il referendum contro l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e gli elettrodotti, alle urne andò appena il 25,7% degli elettori. Ma il 25,9% raccolto in questi due giorni dai quattro quesiti che intendevano cambiare la legge 40 sulla procreazione assistita è appena a un'incollatura dalla maglia nera per la maggiore distanza dal quorum. La difesa dell'embrione ha diviso i partiti, ha creato i dilemmi dell'anima che hanno abbattutto senza remore gli eventuali paletti politici che si potevano frapporre tra l'elettore e la scheda. Hanno retto invece i sostegni "morali" di ciascun elettore, sulle concezioni dell'uomo e della vita. La coscienza ha vinto sulle idee. Glaciale l'analisi dell'istituto di ricerca bolognese Cattaneo, secondo il quale gli elettori si sono comportati come hanno chiesto i partiti e la Chiesa. Il tasso di partecipazione registrato il 12 e 13 giugno - sottolinea l'Istituto - è praticamente identico a quello che ci si sarebbe potuto attendere ipotizzando che tutti gli elettori avessero seguito le indicazioni delle loro organizzazioni di riferimento: «I sostenitori del sì non hanno perso il 12 e 13 di giugno ma nel momento stesso in cui hanno deciso di promuovere i referendum». La cartina geopolitica dello Stivale infatti, cambiata dopo le elezioni regionali della primavera scorsa, non si adatta all'Italia che esce (e non è entrata) dalle urne referendarie. La mappa di consenso-dissenso-astensione colora il Paese in un altro modo. In aprile la coalizione di Prodi aveva conquistato undici Regioni su tredici; solo due rimaste alla Casa delle libertà (Lombardia e Veneto). Risultato? In questa consultazione in appena cinque regioni è stato superato il 30 per cento dell'affluenza, rispettivamente in Piemonte (30,1%), Liguaria (34,1), Friuli Venezia Giulia (30,2), Toscana (39,8) e nel Lazio (31,5). Il Sud è l'altra lama della forbice e qui l'affluenza è finita sotto i tacchi (vedi l'articolo qui sotto). Nella storia dei referendum la soglia del 50% più uno dei votanti manca ormai da 10 anni, 24 quesiti e sei giornate elettorali. Dal giugno 1946, infatti, su 16 volte che gli italiani sono stati chiamati a votare per esprimere con un sì o con un no le loro scelte su 61 quesiti referendari abrogativi proposti, non si è raggiunto il quorum per 6 volte e su 24 quesiti. In particolare è dal 1995 che un referendum non riesce a raggiungere il quorum necessario per la sua validità.

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