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Prezzi su, giù la competitività. Ci si consola solo con i mutui
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E il sito Internet del ministero del Tesoro all'epoca li elencava tutti: «1) I trasferimenti internazionali di fondi sono più semplici e meno costosi; 2) I prezzi tenderanno a diminuire per via della maggiore trasparenza e comparabilità e della più forte concorrenza. Si tratta della "convergenza dei prezzi", incoraggiata dalla facilità con cui i prezzi in euro potranno essere confrontanti nei 12 Paesi; 3) È eliminato il rischio di cambio tra le monete dei Paesi partecipanti; 4) I tassi di interesse tenderanno verso il basso, diminuendo il costo del credito; 5) I prezzi e il potere d'acquisto dell'euro si manteranno stabili, poiché la Banca centrale europea ha come scopo prioritario quello del mantenimento della stabilità dei prezzi; 6) Grazie ad un'economia più sana, la crescita economica sarà stimoltata e ciò avrà effetti benefici sull'occupazione. A leggerle oggi quelle parole sembrerebbero davvero una barzelletta. Perché davvero pochi dei vantaggi elencati in quei giorni e propagandati dalla commissione europea di Romano Prodi in ogni paese si sono poi effettivamente realizzati. Anzi, senza contare la riduzione dei trasferimenti europei da Bruxelles a Roma (dovuta anche all'allargamento a 25 della Unione), gran parte degli indicatori macroeconomici italiani sono peggiorati dopo l'adozione della moneta unica. L'unico indicatore che davvero segnala un vantaggio per l'Italia rispetto al passato è quello dei tassi di interesse. Che ha significato per il bilancio pubblico una caduta della spesa per interessi (ma anche per i risparmiatori un tracollo dei rendimenti dei titoli di Stato) e per i consumatori una forte discesa dei mutui per l'acquisto della casa. L'euro è servito però solo per questi due aspetti. Anche il controllo dell'inflazione sembra davvero poco legato all'avvento della moneta unica. Perché i prezzi tradizionali sono semmai aumentati anche per gli indicatori ufficiali (vedasi tabella), mentre a scendere sono state le tariffe e a provocare il fenomeno è stata la liberalizzazione dei mercati e la crescita della concorrenza. Il potere di acquisto è in realtà caduto, vista che la crescita delle retribuzioni lorde per unità di lavoro è stata così lieve da non compensare nemmeno il dato dell'inflazione ufficiale, già molto discusso. Con l'euro è invece sicuramente caduta a picco la capacità produttiva del sistema industriale italiano, che sulle oscillazioni della moneta aveva costruito gran parte delle proprie esportazioni. Si produce di meno, si lavora di meno e si acquista di più all'estero. Tutto, ma non certo un quadro idilliaco.
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