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Otto mesi di casi Nessuno s'è scandalizzato

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L'11 giugno i militari americani aprono un'inchiesta sulla morte di un prigioniero di guerra iracheno, trovato cadavere cinque giorni prima, il 6 giugno, in un campo di concentramento vicino a Nassiriya, nel sud dell'Iraq, dove era detenuto dal 3 maggio. Dell'inchiesta ne dà notizia ufficiale il comando centrale americano, con tanto di comunicato, senza fare cenno alle cause del decesso. Ma il fatto che l'indagine sia affidata al Naval Criminal Investigative Service suggerisce subito che l'ipotesi più accreditata è che il prigioniero possa essere stato ucciso. L'indagine è la prima del genere avviata dagli Stati Uniti, mentre da qualche giorno (ma in questo caso non si sapeva nulla) i militari britannici hanno già aperto inchieste sulla morte di due prigionieri e sui maltrattamenti inflitti ad altri due, affidati alla loro custodia. 30 GIUGNO 2003, LA LETTERA DI AMNESTY Pochi giorno dopo scatta una denuncia di Amnesty international, anche qui nota a tutti. Ma si tratta di una denuncia piuttosto soft: alle centinaia di iracheni arrestati dall'inizio dell'occupazione anglo-americana deve essere riconosciuto il diritto di incontrare familiari e avvocati, e quello di ottenere la revisione giudiziaria della loro detenzione. La richiesta che Amnesty International rivolge agli Stati Uniti è contenuta in una lettera inviata a Pual Bremer, capo dell'ufficio dell'Autorità provvisoria di occupazione. In risposta, i legali dell'esercito statunitense e dell'Autorità hanno annunciato l'intenzione di migliorare rapidamente le condizioni detentive e di assicurare che ogni persona arrestata possa vedere un avvocato entro 72 ore. 13 OTTOBRE 2003, IN 4 SOTT'INCHIESTA L'esercito degli Stati Uniti conclude l'indagine sulle accuse di maltrattamenti a prigionieri di guerra iracheni rivolte a quattro soldati del corpo di spedizione americano. Anche qui la notizia viene resa nota dagli stessi militari, al punto che un portavoce dell'esercito afferma che i militari sotto indagine appartengono al 320/o battaglione di polizia militare, di stanza ad Ashley in Pennsylvania. Le accuse nei loro confronti sono di avere colpito e preso a calci prigionieri di guerra iracheni, mentre li stavano scortando a un campo di concentramento nel sud dell'Iraq. I soldati ammettono i fatti, ma sostengono di avere agito per legittima difesa. 26 GENNAIO 2004, SCATTA IL PROCESSO Quattro marines americani compaiono a Camp Pendleton (California) davanti ad un tribunale militare per rispondere di accuse relative alla morte di un prigioniero alcuni mesi prima durante un interrogatorio. Un marine aveva letteralmente rotto il collo al prigioniero, afferrandolo violentemente per la testa durante l'interrogatorio, spaccandogli un osso in modo fatale. L'iracheno era sospettato di aver preso parte nel marzo precedente a un'imboscata tesa ai soldati Usa. 5 APRILE 2004, IRACHENI GIÙ DAL PONTE Un colonnello americano in Iraq viene punito per avere protetto i suoi uomini che avevano costretto due prigionieri a lanciarsi da un ponte sul fiume Tigri: uno dei due iracheni obbligati a saltare sarebbe affogato. Il colonnello dell'esercito Nate Sassaman finisce sotto inchiesta, mentre il Pentagono cerca di chiarire i fatti. «Ma in ogni caso obbligare i prigionieri a gettarsi nel Tigri è stato un errore - ha affermato uno degli inquirenti -. I responsabili saranno sottoposti ad azione amministrativa». L'incidente avvenne la notte del 4 gennaio nella città di Samarra, situata nel cosiddetto «triangolo sunnita», dove un'unità militare Usa aveva bloccato due iracheni per avere violato le norme sul coprifuoco.

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