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Il «duello infinito» che blocca tutto

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Ed è anche il braccio di ferro tra i due, oltre alla difficoltà nell'affrontare la situazione della compagnia di bandiera, ad aver paralizzato il governo. Il vicepremier avrebbe voluto una soluzione soft per l'Alitalia. No quindi alla scissione in due della compagnia con una bad company dove far confluire i debiti e gli esuberi e una società sana da avviare all'alleanza con un altro vettore nazionale. Insomma la cura drastica voluta dal ministro dell'Economia che puntava a non gravare sul bilancio pubblico. E per Tremonti che ha già dovuto ingoiare l'avvicendamento tra l'amministratore delegato Mengozzi con il finiano Zanichelli, la vicenda Alitalia è diventata una questione tutta politica su cui si gioca anche la querelle delle deleghe economiche a Fini. Una disputa che viene da lontano. E che sembrava essersi conclusa il 22 febbraio scorso, quando è stato sottoscritto dai quattro leader della maggioranza il documento che dichiarava finita la verifica di governo. Quel documento affidava anche le delghe economiche al vicepremier che sarebbero dovute arrivare con due successivi decreti. Il condizionale è d'obbligo, visto che sino ad oggi non si è visto ancora nemmeno il primo dei provvedimenti. Da quel giorno, infatti, è iniziata la melina di Tremonti. Un gioco sottile, lento e costante che piano piano ha rallentato il processo di trasferimento dei poteri dal presidente del Consiglio e dal ministro dell'Economia al vicepremier. La tattica dell'inquilino del dicastero di via XX settembre era già evidente tre giorni dopo la chiusura della verifica, quando il duello Gianfranco vs Giulio si manifestava in consiglio dei ministri. Su quale tema questa volta? L'Alitalia. Uno scontro che è andato via giorno dopo giorno. Senza sosta. Visto che «il ministro dell'Economia teme che si costituisca un controministero a Palazzo Chigi che lo delegittimi», come ha detto lo stesso Berlusconi il mese scorso, esausto per il continuo tira e molla che ha portato a riempire le pagine dei giornali, creando un danno enorme, è il ragionamento del Cavaliere, all'immagine dell'esecutivo. Ma neanche il presidente del Consiglio è riuscito a chiudere la partita. L'ultima volta che è intervenuto sulla vicenda, nei primi giorni di aprile, aveva promesso che sarebbe stata risolta «dopo Pasqua». «Non ha detto l'anno, anzi è un tempo senza limite», dicono a via della Scrofa con ironia. Anche i successivi tentativi di Berlusconi di giungere ad una soluzione condivisa sia da Tremonti che da Fini è andata a vuoto, fino a sfociare nella protesta di An alla fine del mese scorso. Una protesta sintetizzata in quel «d'ora in poi avremo mani libere sull'economia» che è alla base dell'attuale duello. Se An non sostiene più il ministro dell'Economia, questi pilatescamente si lava le mani sulle questioni che interessano più da vicino la destra. È successo così sulla riforma delle tasse, che il premier vorrebbe abbassare prossimamente, portando a due aliquote Irpef (al 23 e al 33%). Ed è successo anche sulla richiesta dei finiani di mettere mano anche all'Irap, al cui taglio Tremonti vorrebbe mettere mano in una seconda fase. Per ora sembra di essere ancora in una fase in cui i due contendenti non si sono ancora sferrati i colpi decisivi. Li hanno conservati per dopo le Europee.

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