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«Tanzi era un nostro amico, cresciuto con noi» L'ex ministro ulivista De Castro: «Ma Calisto stava con tutti, adesso appoggiava Berlusconi»

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Ma, come tutti i grandi imprenditori, aveva rapporti con tutti. Ma proprio con tutti i politici». Paolo De Castro non nasconde i contatti con l'imprenditore parmigiano. Ma prima di cominciare a parlare di quei rapporti, ci tiene a raccontare un episodio «molto illuminante». Quale, professore? «Nessuno ricorda che Calisto Tanzi nel 2001, il giorno dell'assemblea di Confindustria a Parma, fece un grande ricevimento a casa sua. E sa chi era l'invitato numero uno?». Dica pure. «Silvio Berlusconi». Finanziò anche la sua campagna elettorale con quattro assegni da 100 milioni l'uno. «Appunto, aveva rapporti con tutti i politici. Anche con altri dell'attuale governo». E con chi? «Pietro Lunardi è stato anche suo compagno di scuola». Professore, Tanzi, come anche Cirio, è socio del suo istituto di ricerca: Nomisma. Non è socio di Mediaset: c'è una differenza. O no? «Che cos'è la sua? Una battuta?». È un dato di fatto? «No, è una battuta infelice. Ma per piacere, Nomisma ha 97 soci. Parmalat, peraltro non direttamente, è tra i soci per una quota minima, 30mila euro». Il ministro Alemanno dice: «È innegabile che Tanzi sia stato molto aiutato negli anni dalla sinistra Dc e dall'Ulivo». Che cosa risponde? «Sono un tecnico e non un politico. Non voglio entrare in affermazioni politiche». Il governo dell'Ulivo diede a Tanzi con il decreto 173/98 ben 68 miliardi. Perché? «Di quel provvedimento sono stato l'ideatore, ero il consulente di Palazzo Chigi. Poi me ne sono occupato quando sono diventato ministro. Ma le erogazioni avvennero dopo. Ricordo bene che studiammo quello strumento che doveva abbattere i costi per il trasporto, razionalizzando le filiere». Professore, doveva aiutare le piccole e medie imprese. Parmalat non lo era. Come fu possibile? «È vero, commettemmo un errore. Non fissamo dei limiti alle dimensioni delle aziende. Infatti protestarono anche le cooperative». Parmalat arrivò penultima in classifica, ma ebbe il maggiore finanziamento: quasi la metà del fondo a disposizione. Gli altri, oltre a Citterio, tutti sotto i dieci. Non le sembra troppo? «Non ricordo, non ho documenti con me, sono in treno. Ma questa è una polemica pretestuosa. Era un'impresa grande e aveva un finanziamento in scala alle sue dimensioni. Se i soldi a disposizione erano pochi, la quota era molto grande. No, la questione non è questa». E quale, scusi? «La filosofia di quel decreto era giusta. Ci fu qualche errore, come ho detto. Ma la politica andava nella direzione di una razionalizzazione della filiera. Tanto è vero che Alemanno ha conservato questo tipo di provvedimento, ma non lo dice». Come è potuta accadere, secondo lei, la crisi Parmalat? «Anzitutto bisogna contestualizzare». Contestualizziamo pure. «Se si abolisce il falso in bilancio è chiaro che si crea un clima che certamente non si può definire di rigore». Ma questa non è una considerazione politica? «No, è un dato di fatto. Detto questo, quella di Parmalat è una crisi di crescita, e tutta finanziaria. Non industriale. Questo è importante: non si sottolinea abbastanza che il mercato è sano, anzi in crescita». Però prima di Parmalat era stata la volta di Cirio. «Stesso discorso, crisi di crescita e di natura finanziaria. L'intero settore dell'agroalimentare in Italia sta crescendo, si espande. Insomma, sta bene». Due crac nello stesso comparto e nel giro di pochi mesi. Che cosa sta accadendo? «Sono mancati i controlli istituzionali. Se la soluzione sia l'Authority, be' questo non lo so e non sta a me decidere». Controlli istituzionali? Lei è stato ministro, possibile che neanche lei si sia reso conto di quello che stava accadendo? «Se lo avessi saputo, è chiaro che sarei intervenuto. Ma non facciamo confusione: dal punto di vista industriale Parmalat andava e va bene. I problemi sono tutti finanziari e certamente io, nei vari incarichi, non ho mai

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